La dialettica necessaria
Individualismo, comunitarismo e riconoscimento
di Paolo Ercolani, Università di Urbino Carlo Bo
E-mail: paolo.ercolani@uniurb.it
doi: 10.14672/VDS20242ED5
(https://doi.org/10.14672/VDS20242ED5)
Il concetto di “riconoscimento” (Anerkennung o recognition) si rivela fondamentale per contrastare le discriminazioni tipiche del mondo umano, specie in ambito sociale e politico.
Il mondo storico, infatti, ha visto l’affermarsi, di volta in volta e spesso in contrasto fra loro, di un individualismo in taluni casi estremo (tipico del liberalismo economico o di un certo anarchismo, da Stirner agli anarco-capitalisti, passando per Nietzsche), oppure di un comunitarismo a sua volta non esente da possibili deragliamenti in senso collettivistico o addirittura totalitario.
Se il primo ha talvolta stressato il concetto di libertà individuale fino a impedire l’universalizzazione di determinati diritti politici e sociali (sulla base delle tre grandi discriminazioni storiche: censitaria, sessuale e razziale), il secondo si è in certi casi concentrato sul solo ideale dell’uguaglianza, dando vita a sistemi (o regimi veri e propri) in cui la libertà individuale veniva mortificata o ignorata in nome di un bene comune considerato di ordine superiore.
In questo senso il “riconoscimento”, concetto che per sua natura presuppone un’interlocuzione intra-individuale fra almeno due soggetti che si implicano reciprocamente (non c’è riconoscente senza un riconosciuto e viceversa), si rivela a guisa di sintesi dialettica in grado di non far chiudere individualismo e comunitarismo nei rispettivi ambiti ristretti ed esclusivi.
Ecco allora che, continuando a richiamarsi ad Hegel, considerare e constatare le indubbie differenze di censo, sesso e razza che esistono fra gli individui, non impedisce ma anzi implica la facoltà di riconoscere quegli stessi individui come appartenenti al comune genere umano o, se si preferisce, a quel “concetto universale di uomo” teorizzato dal filosofo tedesco per esempio nel § 209 dei Lineamenti di filosofia del diritto, laddove parlava dell’individuo appreso come “persona universale”, dove tutti sono identici “e l’uomo ha valore così, perché è uomo, non perché è ebreo, cattolico, protestante, tedesco, italiano etc.”.
Il superamento di ogni forma di discriminazione passa inevitabilmente per il riconoscimento reciproco dei soggetti in conflitto o comunque differenti, non perché le differenze siano idealmente superate (cosa che peraltro non implica il superamento fattivo delle differenze stesse), ma inserite all’interno di una cornice di senso comune, nella quale siano possibili il dialogo, la comprensione e la consapevolezza condivisa che la differenza può rappresentare una ricchezza, almeno quanto l’omologazione può essere fonte di degradazione. Ammettere ciò è la precondizione necessaria per riconoscersi parte del consesso umano, quello in cui nessuno è un “Io” senza un “Noi”, e viceversa.