Recensione: Una “Cybersicilia” inedita tra abisso e riscatto:  “All’ombra del castello di carte” di Mario Cunsolo

di Antonina Nocera

Una –  tra  le tante-  possibilità  della scrittura, segnatamente del romanzo, è quella di potere costruire mondi perfetti che stringono assieme elementi disparati che mai avremmo pensato uniti,  per quanto siano profonde le distanze che li separano. Un esempio di questo azzardo creativo è rappresentato dalla scrittura che Mario Cunsolo ha affrontato con il suo ultimo romanzo: “All’ombra del castello di carte” (Algra Editore).  

Immaginate la Sicilia, nello specifico la zona orientale con a capo Catania, immersa letteralmente in un’atmosfera Cyberpunk e potete farvi un’idea del mix esplosivo che fa da sfondo all’ultima fatica letteraria  di Cunsolo.

 Tanto malinconica e meditabonda la Sicilia dei nostri scrittori, tanto concitato e straniante il mondo della letteratura scientifica. Un’operazione tanto più difficile, quella di ricreare una Sicilia cyberpunk, quanto sono più solidi gli immaginari che sostengono la tradizione della  scrittura isolana, con i suoi capisaldi in trionfo, da Sciascia, Bufalino, Consolo per citarne tre tra i più importanti, che  hanno segnato il solco della tradizione. 

D’altro canto, le ambientazione dello sci-fi si prestano a qualsiasi setting: ecco che allora prende corpo Etna city, una Catania distopica che incarna tutti i mali della periferia degradata, invasa da oscuri magnati del gioco d’azzardo e in preda a un morbo della mente che sta decimando la popolazione.  Dietro al grande disegno una sorta di grande fratello economico, la Grande Falce, ideato molti anni prima dal magnate della Yang Corporation, Sam Yang. L’apertura al sottogenere dell’ecopunk con riferimenti all’emergenza pandemica, rendono ancora più attuale e immersivo il messaggio del romanzo, incarnato anche dalla fisionomia dell’eroe protagonista, Rino Salvieri, Jolly boy, ex – sindaco considerato un nemico pubblico ma in realtà animato dal desiderio di salvare un mondo alla deriva, corrotto e putrefatto. 

Amante del gioco, la sua sciarada ludica si appropria della realtà proprio con lo stesso piglio dissennato del giocatore d’azzardo: 

“È il gioco stesso che alimenta la povertà e viceversa, in un circolo vizioso senza fine, in cui fa da padrona una sola regola scontata, la più amara: affinché ci sia un vincitore, deve esserci necessariamente un perdente!”

Parente del potere, il gioco, con la sua perfida bugia del “ tutto è permesso”, è la chiave di lettura di un mondo in cui gli elementi tipici della letteratura fantascientifica, incluso lo sguardo sul degrado dei luoghi, di irreggimentazione dei corpi dentro biotecnologie e apparati protesici,  si fondono con la possibilità di credere che il riscatto, vissuto sia sul piano personale che collettivo, sia attuabile:  

“Così come nel gioco del Poker, o in qualsiasi altro gioco in cui l’astuzia dell’uomo fa da padrona, la conoscenza del linguaggio del corpo e le strategie per ingannare, persuadere e illudere lo sfidante sono la vita maestra affinché si possa vincere una qualsiasi partita nel più duro dei giochi che si conosca:  la vita”.

Emerge qui la connessione con la nostra isola tanto martoriata da ferite non sempre sanate, che talvolta sanguinano sulla scorta delle memorie di chi ha creduto fortemente in questo cambiamento e in suo nome ha sacrificato la vita. 

Perché solo sulla soglia del vivere o morire, sulla resa di fronte all’abisso dell’arbitrio senza morale, si può operare quel cambiamento che Salieri sperimenta in un luogo senza luoghi, eterotopico,  tra reale e immaginario, che è quello della coscienza, rimasta solitaria e priva di appigli metafisici.  Si conferma la vena sociale di Cunsolo, nutrita sul solco di una letteratura che non abbandona le radici, ma le esalta e valorizza in un contesto straniante e gestito ottimamente nel dominio dello stile (nutrito  da letture come Dick, Ballard, Gibson, e dai maestri della cinematografia) venato da quell’ironia, a tratti sarcasmo, che caratterizza le personalità forti e determinate dei suoi romanzi.

Non abbandonare la Sicilia – anche letterariamente parlando –  ma renderla, come disse Sciascia, sempre grande metafora delle contraddizioni del mondo contemporaneo, con lo sguardo vigile dei lucidi folli pirandelliani.  

“Il desiderio di onnipotenza, la smania del potere, il complotto finalizzato al controllo delle coscienze si impossessano dei potentati preda di un titanismo malvagio che depone ogni morale e viaggia alla conquista di un mondo che si salva appena prima di essere sopraffatto. 

Salvieri, in cui non a caso ritroviamo l’etimologia della salus, della salvezza appunto, è però un antieroe disincantato che incarna la parabola della decadenza dei tempi pur rimanendo, a suo modo, un puro, realista più che pessimista, innamorato dell’amore, un siciliano perdurante nelle sue ostinazioni malinconiche, come nella migliore tradizione letteraria. Da Jolly boy, cinico ed egoista giocatore, Salvieri assurge a paladino di un mondo migliore, possibile, che si è forgiato sulle contraddizioni, sul male, sullo sporco residuo dell’essere umano. Un groviglio umano, che l’autore snocciola con una prosa chiara, iconica che non tralascia lo scavo interiore, un travaglio moderno dove l’etica, fatta a pezzi, si rigetta a scaglie su un mondo che sembra essere speculare a quello che vive oltre il testo, il mondo preda del Potere, della follia e del denaro: Cunsolo ne fa un puzzle che è lo specchio della nostra complessità [dalla prefazione]”.

Brevi note su poesia, scienza e intelligenza artificiale

Di Antonio Delogu, già ordinario di Filosofia morale, Università di Sassari

Abstract

Il poeta porta a evidenza, in virtù dell’immaginazione, le verità dello strato precategoriale del mondo vissuto. Anche lo scienziato si affida all’immaginazione nella scoperta delle verità del mondo oggetto. L’IA non può creare poesia né conoscenze radicalmente innovative nel campo scientifico: accresce il già dato (siti WEB, libri, saggi, ecc.) ma non in discontinuità col già conosciuto.

Keyword: immaginazione, creatività, mondo vissuto, precategoriale

The poet brings to light, through the power of imagination, the truths of the pre-categorial layer of the lived world. Similarly, the scientist relies on imagination to discover the truths of the objective world. AI cannot create poetry or radically innovative knowledge in the scientific field: it amplifies what already exists (websites, books, essays, etc.) but does not break away from what is already known.

Keywords: imagination, creativity, lived world, pre-categorical

Introduzione e stato dell’arte

Poesia e scienza sono, a prima vista, due percorsi conoscitivi lontani per modalità di approccio alla verità. Tuttavia, a ben vedere come stanno veramente le cose, per importanti aspetti possono considerarsi assai vicini. Guardiamo, pertanto, alla poesia e alla scienza per ciò che li accomuna per metodo e fine.

Il poeta descrive l’essenza delle cose del mondo della vita o mondo vissuto nel senso in cui ne parla Husserl, soprattutto nel suo ultimo lavoro La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Essenza nel significato non di fondamento ultimo o principio primo della realtà (di cui la metafisica sostanzialistica parla dalle origini del pensiero occidentale sino ai giorni nostri ) ma nel significato di carattere permanente, perenne, universale delle reali o possibili umane esperienze.

La poesia tende a portare a evidenza lo strato originario, autentico duraturo del mondo della vita, occultato da pervasive abitudini, da “pre-giudizi” ideologici, da precostituite concezioni del mondo[1].

Anche al poeta, come al filosofo che ha percorso i sentieri della metafisica ( con risultati contrastati e contrastanti ) è precluso il possesso conoscitivo del fondamento ultimo della realtà. A riguardo, non l’evidenza ma l’approssimazione è nelle sue possibilità conoscitive e, perciò, raramente si avventura sui percorsi della metafisica essenzialistica, consapevole del fatto che il mistero è al fondo del mondo della vita oltre che del mondo naturale.

Il poeta tocca gli strati originari delle umane esperienze in virtù di fine sensibilità, d’intuizione perspicace, di appassionata sapienza, d’ingenuità dello sguardo, di maturità di giudizio.

La sua intuitiva attenzione vive di disciplina intellettuale, fervore sapienziale, interiore purificazione dal conformistico, abitudinario modo di vedere le cose.

La poesia è tensione a verità radicali, espressione di straordinaria comprensione dell’essenziale insito nell’esistenziale, dell’eterno incarnato nel contingente, del meta­-fisico  cioè di ciò che sta oltre, al di là della realtà biofisica; per dirla in breve, del senso (l’invisibile) dell’oggetto (il visibile).

Il poeta può introdursi “ in golfi e abissi inesplorati, in terre senza tempo e senza luogo” poiché nel suo cammino “ il mondo confina con l’inesauribile, l’insondabile”[2].

La poesia è rapporto intenso e intensificato con l’esperienza vissuta: illumina il senso originario tanto delle cose umili quanto di quelle elevate, riscoprendone l’inesauribile ricchezza nella cui contingenza alberga ciò che di esse è  perenne, universale o universalizzabile.

Il poeta è, quindi, in rapporto diretto con l’essenza, il “segreto” delle cose del mondo vissuto in virtù dell’esercizio dell’husserliana epoché che consente di essere dentro e, al contempo, al di sopra delle umane esistenze.

Nel suo cammino conoscitivo evita i preamboli metodologici, le divagazioni argomentative, le lungaggini o pause esplicative, le afflizioni ideologiche, il peso dei “pre-giudizi”: va direttamente alle cose, animato da originaria innocenza, da fuoco sacrale che ridona splendore alle parole e alle cose. Si affida alla sensibilità, all’intuizione, all’immaginazione così che può vedere ciò che gli altri non vedono: la profondità e la preziosità del mondo della vita.

L’autenticità della parola, l’incondizionatezza del pensiero sono essenziali alla poesia, che è tensione alla verità portata a evidenza dall’inquietudine, che “perlustra e scruta”, per dirla con un famoso verso di Caproni, l’intreccio tra paesaggio interiore e paesaggio esteriore, tra tempo e perennità, orizzontalità e verticalità.

La poesia è il cammino descrittivo che conduce al precategoriale intreccio tra mondo vissuto e mondo oggetto. Non a caso  è fioritura di metafore che consentono il contatto con la sacralità delle cose, con lo strato esperienziale che ne trascende la mera fisicità. La metafora, Borges ha detto, è l’anima, ciò che dona anima alla parola.

La poesia scopre l’universalità e la perennità nelle contingenti sensazioni, nei fuggevoli stati d’animo in virtù di un vigore conoscitivo che trascende il logoramento esistenziale motivato dalla vita abitudinaria. Perciò oltrepassa il proprio tempo, come testimonia il fascino di ciò che è veramente poesia: il suo essere dono  per il poeta e  per il lettore di rinnovata freschezza d’animo.

La poesia è invenzione di un nuovo linguaggio perché esige la scoperta dell’autentico valore semantico della parola, e resta vera poesia quando non cade nell’oscurità degli artifici sperimentalistici in cui, a dire il vero, la poesia muore.

 I grandi poeti sono tanto profondi quanto capaci di esemplare chiarezza. Non a caso il contadino e il pastore possono recitare l’Odissea e la Divina Commedia; non a caso l’adolescente legge Petrarca e Leopardi con appassionata, empatica intelligenza e, per stare al nostro tempo, Ungaretti e Montale, Walt Whitman e Borges, Machado e Garcia Lorca.

La vera poesia si affida all’universale comprensibilità perché esige  tanto l’essere colta quanto l’essere popolare.

Il poeta esplora lo strato preriflessivo, precategoriale del mondo della vita abbandonando il passo della prosa con l’esercizio della  esemplare ( difficile da praticare ) semplicità espressiva.

Il poeta può descrivere, perciò, con fedeltà al dato esperienziale, la pienezza di senso del candore di un gesto, della grazia di un sorriso, della dolcezza di uno sguardo, della tenerezza di un sentimento, della pesantezza d’anima; può portare a evidenza il senso universalmente esperibile dell’incolore quotidianità, delle insensate abitudini, del grigiore della noia, dell’angosciante oscurità della disperazione, della crepuscolare tristezza, della malinconica o nostalgica peregrinatio nel tempo o della luminosa freschezza  dell’innamoramento; può cogliere, insomma, lo strato di senso nascosto nelle pieghe delle abitudinarie, esistenziali esperienze; può donarci, con meravigliosa e meravigliata fedeltà a come stanno veramente le cose, la bellezza, la ricchezza, la complessità e la problematicità del mondo per noi.

L’acqua della scienza è esattamente descritta e spiegata dalla formula H2O. L’acqua della poesia è altrettanto esattamente quanto diversamente descritta nel Cantico delle creature di S. Francesco ( “Sor’Acqua/la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”) e nelle mirabili petrarchesche  Chiare, fresche e dolci acque.

I poeti ci donano molte verità sugli smarrimenti esistenziali, sul torpore dell’anima, sulla gratificante spiritualità, perché la poesia è, in definitiva, atto di libertà dello spirito, del cuore e della mente; atto che nasce dalla vocazione a fare esperienza di interiore rinascita, di rinnovamento del proprio modo d’essere al mondo, di un nuovo sguardo  sulle cose che ci riguardano.

Il poeta ci conduce alla scoperta di un nuovo mondo, di esistenziali paesaggi di cui, altrimenti, poco o nulla potremmo sapere. Perciò crea in noi stupore, meraviglia, lo stato d’animo per il quale il poeta Machado ha detto che la poesia “ è un profondo palpitare dello spirito”. Troviamo la verità che ci dona il poeta spagnolo  in un magnifico verso di Borges: “La poesia è un’Itaca di verde eternità”.

La grande poesia non è soltanto esercizio di raffinatezza formale, di esteriore brillantezza del verso ma anche, per essenziale vocazione, ricerca della profondità di senso del mondo della vita.

Ciò manca negli pseudo poeti che difettano di meditato esercizio del pensiero e del sentimento.

Nella poesia frutto di superficialità e di improvvisazione non troviamo la chiarezza e la semplicità per le quali, ha detto Robert Louis Stevenson, le parole escono dal loro uso quotidiano per trasformarsi in magiche modalità espressive. Il fatto è che, come dice Borges,  sappiamo cosa è la poesia ma non siamo in grado di definirla come ci accade anche per il tempo o l’amore.

La stessa poesia d’occasione, che descrive credenze, sentimenti, vissuti propri di ben precisate circostanze, si eleva al disopra del tempo in cui nasce e di cui parla per situarsi al livello del poema, dell’inno, dell’epica, della lirica, dell’elegia.[3] La poesia che resta imprigionata nella circostanza di cui parla scade a canzone. Ma la canzone non è poesia come accade di leggere in antologie scolastiche dove i cantautori si propongono come poeti: si è giunti al punto che al cantautore Bob Dylan è stato dato il premio Nobel (negato all’impareggiabile Borges).

Ragionamento e poesia

Dove c’è ragionamento, afferma Benedetto Croce, non c’è poesia. Il filosofo neoidealista parla, evidentemente, del ragionamento che si svolge per deduzione, per logica concatenazione di concetti.

Vi è, però, anche il ragionamento poetico che, coniugando passione e ragione, intuizione, immaginazione, riflessione e meditazione è vera e propria esperienza del venire al mondo degli esseri e delle cose, cioè fedele descrizione del senso originario del mondo della vita.

Nella poesia accade il miracolo del respiro metafisico capace di restituirci l’aurorale splendore del nostro originario essere al mondo tramite il sapiente, dialettico intreccio di pensiero riflessivo e esperienza preriflessiva.

La poesia che ci parla della  dimensione precategoriale delle esistenziali esperienze non per dottrina o sistema ma per straordinaria descrizione /narrazione si dà come vera e propria riverenza verso tutte le cose.

L’approdo poetico è l’ouverture del mondo vissuto, non come tempo mitico o remoto, come Età dell’Oro, dell’Eden perduto, ma come sorgiva esperienza dell’essenza valoriale del mondo della vita. Il poeta che ci porta entro le cose stesse, entro il ritmo perenne del divenire delle umane esperienze, a contatto con lo strato ontologico del nostro essere al mondo, ci dice che la nostra inerenza è, al contempo,  trascendenza rispetto al nostro essere al mondo vissuto come intreccio di soggetto e oggetto, di coscienza e natura: “Ho sentito, in una foresta”, ha detto, con eleganza poetica, il pittore André Marchant, “che non ero io a guardare la foresta, erano gli alberi che mi guardavano, che mi parlavano”. Il paesaggio si pensa in me, diceva poeticamente Cézanne[4].

Straordinario è il fatto che il testo poetico sia oltre che dell’autore anche del lettore: la sua vita continua  nell’animo e nella mente di chi legge. L’esperienza poetica, in effetti, vive nella unicità del poeta  quanto nella  molteplicità dei lettori, come tensione  alla atemporalità, alla verticalità,  abbandono del già detto, del già fatto, del già visto: “In nessun dove”, ha scritto Rainer Maria RilKe, “sarà mondo/ se non dentro di noi”.

Può dirsi anche che la poesia sia, in qualche misura, esperienza di preghiera se la preghiera è l’uscita dalla vacua quotidianità, anelito all’insondabile, al mistero, esperienza di religiosità che coglie la sacralità di ogni cosa. La poesia è la liturgia dell’anima che vive il palpito dell’eterno nel respiro del contingente.

La verità è , come Pessoa ci ha detto, che “la poesia esprime l’anima intera” che la meraviglia, lo stupore liberano del velo della insensata quotidianità, manifestandoci la realtà come se, suggerisce Borges,  “tutto accada per la prima volta anche per il lettore”. La poesia è come lo sbocciare della rosa che dona, per incanto, profumo ( senso ) al mondo.

Cosa dire del modo di procedere della ricerca scientifica?

Il desiderio di conoscenza della Natura sollecita lo scienziato all’esercizio della descrizione/ spiegazione dei dati empirici. La lettura del mondo biofisico è, per lui, questione di visione prima che di tecnica. Lo scienziato segue indizi, tracce, si sofferma su dati apparentemente insignificanti da cui trae la verità del fenomeno astraendone la causa o legge che   lo pone in essere e lo determina. Newton osserva la caduta della mela che nulla dice allo sguardo della superficiale quotidianità, ma da quella fuggevole caduta, andando oltre ciò che la vista gli offre, induce la legge fondamentale della gravitazione.

La scienza scopre le leggi che stanno dietro l’apparenza dei fenomeni affidandosi sia all’empiria che alla razionalità orientate alla conoscenza del mondo pensato, del mondo oggetto.

Il sapere scientifico giunge alla conoscenza delle cause o leggi dei fenomeni naturali per rettificazioni e purificazioni progressive, cioè, dice Bachelard, uscendo dalle false evidenze[5].

La ricerca scientifica è radicale rinnovamento del sapere: le rotture epistemologiche (come la teoria della relatività e la teoria quantistica) impongono l’abbandono di teorie scientifiche diventate dogmi, credenze ideologiche[6].

Thomas Kuhn distingue tra scienza ordinaria e scienza straordinaria in quanto scienza che fa emergere nuovi paradigmi che sono alla base delle rivoluzioni scientifiche. Ma il superamento dei non più praticabili  paradigmi può avvenire soltanto in virtù dell’immaginazione, di una esperienza intellettuale veramente creativa.

Il lavoro dello scienziato nasce non dalla fredda razionalità, dalla pratica di rigidi protocolli metodologici ma dall’immaginazione. Il metodo, nella ricerca scientifica, non precede ma segue l’atto intuitivo-creativo.

La scienza, quando esplora i suoi campi d’indagine (matematica, geometrie, fisica, astrofisica, geofisica, biologia, genetica) scopre “mondi” lontani da quelli della realtà quotidiana, con lo spirito di avventura cioè con l’immaginazione, che, dice Giacomo Leopardi, è “la sorgente della ragione: “L’immaginazione fa i grandi scopritori di verità: da una stessa sorgente, diversamente applicata, vennero i poemi di Omero e Dante e i Principii matematici della filosofia naturale di Newton”[7].  

Einstein, in una famosa lettera a Maurice Solovine del 1956, scrive che la comprensibilità del mondo è come un miracolo, un eterno mistero al quale solo l’immaginazione ci consente di accostarci.

Simon Weil ha scritto che la scienza per raggiungere il Bene  “si deve allontanare dalle cose del mondo”[8]. Quando l’astrofisico indaga sull’origine e sulla fine dell’universo, sulla struttura profonda del Cosmo, si allontana anni luce dal mondo della sua quotidianità.

Perciò lo scienziato tramite l’osservazione  del fenomeno particolare può portare a evidenza “verità generali grandi e importanti”[9].

La scienza

Il termine scienza, afferma Jonas, ha nel campo linguistico tedesco un’accezione più vasta rispetto a quella che assume nell’area anglosassone e abbraccia in sé anche le scienze dello spirito e della cultura e, diremmo, include perciò anche la poesia[10]. In questo senso può dirsi che scienza e poesia sono, in qualche modo o misura, germogli diversi di un’unica radice.

Heisenberg ci dice che i poeti muovono spesso obiezioni agli scienziati che traducono i loro percorsi conoscitivi in rigidi schemi logici[11]. Gli scienziati si affidano prima che agli schemi logici e alle procedure metodologiche all’immaginazione, i poeti elevano il linguaggio  argomentativo  e quello della quotidianità a novità espressiva e veritativa.

La verità delle leggi del mondo naturale, su cui verte il lavoro scientifico, è pari all’essenzialità di senso del mondo vissuto su cui verte lo sguardo poetico. Anche lo scienziato, a volte, ricorre come il poeta alla metafora. Nell’uno e nell’altro agisce, potremmo dire, una forza visionaria. La ricerca scientifica, come la scrittura poetica, è esperienza di passione, emozione oltre che d’ordine logico, di rigore d’argomentazione razionale.

Si può ragionare poeticamente e poetare razionalmente: scienziati e poeti, entrano nei rispettivi, distinti campi d’indagine, in qualche modo e misura, non con la fredda ragione ma con la calda immaginazione, poiché l’esattezza del mondo scientifico si dà come bellezza, come la bellezza del mondo poetico si dà come esattezza.

Lo scienziato, come il poeta, ricerca e scopre la bellezza, lo splendore dell’ordine che governa il mondo. Anche la sua visione della natura genera emozioni, stupore, meraviglia. Anche la sua avventura conoscitiva è attivata da sensibilità, da fantasia, dall’inquietudine del “non sapere”, dall’insofferenza per l’ignoranza, dall’errore che esige verità, dall’approssimazione che esige disciplina.

Vigore creativo e impegno riflessivo motivano il lavoro intellettuale del poeta (volto al mondo infinitamente ricco delle umane esperienze, delle profondità e delle altitudini spirituali) e quello dello scienziato [volto al mondo ( esemplificando )] delle particelle subatomiche, della relatività dello spazio-tempo, delle relazioni della meccanica quantistica, dell’immensità delle galassie, del microcosmo “bio-fisico” ).

Lo scienziato e il poeta, con diverse modalità, viaggiano nei leopardiani “sterminati spazi” e  “sovrumani silenzi”, fanno esperienza di produttiva contemplazione che, ci dice Dante Alighieri, è “perfezione della nostra anima”.

Lo scienziato, come il poeta, fa esperienza di uno sguardo radicalmente nuovo sul mondo che esplora: Einstein ha cambiato il modo con il quale guardiamo all’universo: gli oggetti, la luce, lo spazio, il tempo, la massa, l’energia.

L’avventura scientifica e quella poetica sono esperienze d’interiore raccoglimento creativo, di visione straordinaria, di estraneazione dal quotidiano vivere e sentire, di sguardo puro per la Verità, d’insopprimibile desiderio di conoscenza che attiva l’entusiasmo per l’avventura conoscitiva, l’amore per la disinteressata curiosità intellettuale.

Nell’esperienza scientifica e in quella poetica le persone sono animate da spirito di libertà, di responsabilità, di onestà intellettuale e morale, in definitiva, di saggezza, in cui non vi è spazio per scopi o sentimenti egoistici.

Tra scienziati, come tra poeti, non vi è conflitto poiché il loro impegno intellettuale è mirato all’universalità del sapere.

L’esperienza scientifica e quella poetica sono anche nuove esperienze di sé oltre che del mondo, che vengono a evidenza nel silenzio, nella lontananza dai rumori, dagli umori, dai malumori; nell’uscita dall’irrequietudine, nell’attenzione che si dà nell’atto creativo di  scoperte di nuovi mondi.

Lo scienziato e il poeta si affrancano dalla contingenza, dalla passività vivendo una sorta di beatitudine spirituale che si trasforma in meraviglia, stupore per la scoperta di un nuovo mondo: mondo vissuto per il poeta, mondo oggetto per lo scienziato.

Il poeta e lo scienziato si affidano all’immaginazione, che è la dimensione conoscitiva propria dell’esperienza creativa. Senza immaginazione non si prova il volo poetico, non si formulano ipotesi nella ricerca scientifica[12].

L’esperienza razionale ed emotiva del poeta si ripete nel lettore, che se ne sente personalmente coinvolto. Il lettore con la sua immaginazione si immerge nel mondo del poeta, lo ricrea, lo rinnova, lo arricchisce. L’esperienza intellettuale ed emotiva dello scienziato è, invece, esclusivamente personale o condivisa dal e nel gruppo di ricerca. Il lettore non può rifarne il cammino neppure con l’immaginazione: ne conosce soltanto il risultato.

Il lavoro del poeta sfiora il mistero del mondo della vita, il lavoro dello scienziato si confronta con i problemi posti dalla necessità di conoscere il mondo naturale.

Perciò è importante che gli scienziati frequentino il mondo dei poeti perché ciò può intellettualmente arricchirli. Altrettanto importante è che i poeti frequentino il mondo degli scienziati poiché il vissuto di cui danno comprensione ha la sua radice nella realtà di cui gli scienziati danno spiegazione. Il poeta che ignora il cammino della scienza rischia la fantasticheria, lo scienziato che ignora i sentieri della poesia rischia l’aridità del sentire e del pensare.

L’auspicio è che anche gli scienziati sentano il desiderio di avvicinarsi al mondo dell’invenzione poetica e che i poeti sentano l’esigenza guardare al mirabile mondo degli scienziati. Forse è questo il significato di ciò che ha detto Novalis: “La forma compiuta delle scienze deve essere poetica”.

Il poeta e lo scienziato, incrociando e intrecciando le loro esperienze creative convergono verso il senso e il fine autentici della loro fatica conoscitiva, verso la  Verità che abita nella coscienza di ciascun individuo: il rispetto della Natura, la dignità di ogni individuo, la sacralità di ogni umana esistenza. Tutto ciò non può non portare a evidenza anche le differenze tra i due percorsi conoscitivi. Nella poesia non ci sono progressi né invecchiamento, nella scienza il progresso è essenziale perché le scoperte scientifiche esigono l’abbandono delle acquisite certezze.

L’intelligenza artificiale può creare poesia, può creare scoperte scientifiche?

L’IA è la capacità di trovare soluzioni a un’infinità di problemi utilizzando i database senza i quali non potrebbe giungere ad alcun risultato. Il suo percorso conoscitivo muove  dal già dato per avviare e svolgere un ben precisato (vedi Popper) metodo di ricerca. Ben diverso è quello del poeta orientato verso le verità profonde, le ragioni essenziali del mondo della vita che possono darsi ad evidenza nel ritmo, nella musicalità, nella bellezza, nella originalità irripetibile del momento sorgivo della sua creatività. L’IA, il robot umanoide è dato biofisico, non corporeità cioè corpo vissuto, esistenziale esperienza di sentimenti, affetti, di dubbio, di scelta, di desiderio.

L’IA non è e non ha il “dentro di noi” in cui alberga anche il silenzio del raccoglimento da cui può nascere l’innovativo, creativo linguaggio poetico.

L’intelligenza poetica, non l’IA, comprende il linguaggio del cielo (limpido, oscuro, tempestoso, sereno), il linguaggio del mare (calmo, impetuoso), del tramonto (triste, nostalgico,  amoroso, sognante), dell’alba (fresca, vigorosa), del paesaggio; il silenzio della umana fragilità, la sofferenza delle ferite dell’anima.

Il poeta prova cioè vive intensamente l’esperienza creativa che, scrive il poeta cileno Vicente Huidabro, è “come una chiave che apre mille porte”.

Il mondo di cui può parlare l’IA non è il mondo delle allegorie, delle metafore, delle immagini che nella scrittura poetica, vero e proprio stato di grazia; è esperienza di splendore e purezza d’anima, d’inquietudine metafisica. Il mondo dell’IA proviene dal già dato (i database), la poesia nasce dalla novità del momento creativo.

Se si parla di IA con riferimento a ChatGPT ( trasformatore generativo “pre-addestrato”: altri sistemi di IA, meno sofisticati, sono Siri e Alexa ) è necessario tener in evidenza che siamo agli inizi di una tecnologia di cui non è possibile immaginare gli sviluppi come al tempo del volo dei fratelli Wright non era possibile immaginare gli attuali traguardi dell’astronautica; o, al tempo di Antonio Meucci immaginare il salto di qualità dalla invenzione del telefono agli attuali cellulari.

Il sistema ChatGPT consente oggi di rispondere a un’infinità di domande, di comporre articoli e saggi su qualsiasi argomento in brevissimo tempo, di comporre canzoni, di tradurre un testo in molte lingue, di riassumerlo: tutto ciò utilizzando  i database.

In effetti, ChatGPT viene addestrato sui dati tratti da libri, articoli, siti web: ciò consente l’aggiornamento e l’accrescimento  continuo delle conoscenze.

Il problema che ci si pone, però, è se l’IA può creare poesia, fare scoperte scientifiche che segnino un vero salto qualitativo rispetto alle conoscenze acquisite, come può dirsi della relatività e della meccanica quantistica rispetto al meccanicismo newtoniano.

Riguardo alla poesia vi è da dire che essa nasce dal mondo vissuto così che vi sono coinvolte sensibilità, intenzione, emozione, immaginazione. La poesia, quindi, è esperienza di comprensione delle molteplici modalità in cui si dà il mondo della vita, non di spiegazione di problemi del mondo oggetto: la soggettività, la corporeità come corpo vissuto ne sono la fonte, la trama.

L’IA è razionalità pragmatica, la poesia è ragione contemplativa, espressione di una soggettività che è non un fatto o un dato ma un farsi nella comprensione di sé, del senso del suo essere  soggettività esistenzialmente esperienziale.

L’IA non è coscienza di sé, del senso di ciò che fa, del valore semantico del linguaggio. Non può sapere la differenza tra “gli elettricisti stanno lavorando” e le “lavatrici stanno lavorando”; tra “il custode aprì la porta” e il vento soffiò nella stanza”[13]. Altrettanto può dirsi riguardo alle “  ferite dell’anima e  ferite del corpo”, di un’anima che ondeggia e del mare che ondeggia.

Nel campo dell’IA il rapporto è non tra soggetto e oggetto ma tra oggetto e oggetto; perciò, non vi può germogliare il senso delle esistenziali esperienze: il senso della paura, del timore, dell’attesa, della speranza, del pentimento, del rimorso, del ravvedimento, della gelosia, delle infinite sfumature dei sentimenti.

L’IA non può fare esperienza di ragionevolezza, di saggezza, della gratificante solitudine né della deprimente solitudine; non può comprendere, chiusa nella razionalità logica degli algoritmi, il valore della spirituale energia, della forza morale perché l’una e l’altra trascendono la dimensione biofisica.

L’intelligenza umana è razionalità e immaginazione, l’IA è memoria (molto più della intelligenza umana) e calcolo, ma non immaginazione né volontà né desiderio di immaginare.

Nella poesia c’è l’anima del poeta con le sue luci, le sue ombre, le sue penombre, le sue estasi, le sue beatitudini, le sue nevrosi, la sua interiore stanchezza.

La poesia è, per eccellenza, esperienza di autoriflessione, di autocoscienza inclusiva del mondo vissuto, relazionale, intersoggettivo.

L’IA è del mondo di cui parlano il fisicalismo, il materialismo, il meccanicismo ai quali non è riducibile l’anima, l’esistenziale interiorità in cui nasce il senso del mondo vissuto.

La poesia esige il passo della comprensione, della sensibilità, impossibile per l’IA.

L’IA non aspira alla virtuosità, al perfezionamento morale: non è esperienza di benevolenza, compassione, biasimo, ambizione, tenerezza, dei sentimenti, insomma, che possono costituire la trama del  vissuto poetico.

L’IA non può essere madre, padre, figlio, amico, non è né può essere esperienza in prima persona: non è soggettività in cui originariamente nasce il desiderio di conoscenza, di comprensione di ciò che si è e di ciò che si vuole essere per il fatto, di tutta evidenza, che è oggetto posto in essere dal soggetto umano.

Si può dire che la poesia è l’espressione della soggettività al più alto grado (come la filosofia e la scienza) che sia l’espressione, la manifestazione dell’anima di cui secoli di materialismo, di determinismo non hanno cancellato la traccia[14]; altrettanto non può dirsi della IA.

Così stanno le cose. Del futuro, soprattutto di quello remoto, non è possibile dire qualcosa di plausibile, tantomeno di certo. Lo scrittore di fantascienza K. Stanley Robinson, nel suo recente racconto Aurora  (Ubiliber, editrice dell’Unione Buddhista italiana, 2015) parla del viaggio di una gigantesca astronave che nel ventiseiesimo secolo porta duemila esseri umani verso il sistema Tau Ceti. Il viaggio dura duecento anni, così che nessuno degli umani partiti dalla Terra concluderanno il viaggio interstellare: alla conclusione del viaggio arriveranno forse i figli, certamente i nipoti e i pronipoti. L’IA Nave (che guida il viaggio cosmico) è capace di acquisire coscienza, emozione, senso del dovere, senso  di fedeltà allo scopo per il quale gestisce l’astronave Aurora.

Di questa IA può parlare lo scrittore di fantascienza, non il filosofo né lo scienziato: siamo nel mondo del transumanesimo, del superamento dell’umano, della fusione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, dell’umanoide robotico.

Conclusioni

Cosa ne sarà, in questo nuovo mondo, della poesia? Ci sarà l’umanoide poeta? Anche questo è possibile, ma resta da vedere di quale immaginazione, di quale fantasia, di quale creatività, di quale contatto con la vita reale sarà capace la robotica IA.

Il mito di Pandora ( tra i più conosciuti della mitologia greca ) racconta che il dio Vulcano fabbricò una donna bellissima, Pandora appunto. Ciascuno degli dèi fece un dono a Pandora. Zeus le donò un vaso chiuso dicendole di non aprirlo.

La bellissima donna, però, disubbidì a Giove: aprì il vaso da cui uscirono tutti i mali del mondo: malattia, morte, vecchiaia, miseria, pazzia, violenza. Ma, dal fondo del vaso, uscì   anche la  speranza. Il mito di Pandora, raccontato da Esiodo nella Teogonia e nelle Opere e i giorni, può dirci qualcosa riguardo all’IA. L’umanoide, l’essere transumano fabbricato dalla tecnologia, può portare sciagure ma anche la speranza di un mondo migliore: su ciò che accadrà nel lontano futuro, come quello del XXVI secolo, il filosofo, il poeta, lo scienziato non possono dirci qualcosa di credibile: quali saperi ci saranno? l’umanoide robotico sarà  intelligenza creativa anche in virtù del provare emozioni, meraviglia, speranza, sentimenti umani, insomma? sarà capace del creativo linguaggio poetico discontinuo rispetto al linguaggio comune e, perciò, capace di entrare nel labirinto degli infiniti significati del mondo della vita? sarà capace di pensiero veramente alternativo rispetto al modo comune di vedere le cose, di comprendere il senso della realtà? L’IA sarà autocoscienza, capacità di autocritica, energia intellettuale di autoformazione? sarà un fatto o un farsi? potrà fare esperienza del sonno, del sogno, del passaggio dal sonno alla veglia? l’IA sarà semplice oggetto biotecnologico o qualcosa di qualitativamente diverso come la mente, un essere che non esiste in sé, non è a se stante, ma si dà a conoscere nell’interazione col mondo in cui si trova inserito? sarà capace soltanto di pensiero calcolante o anche di pensiero immaginativo come quello del poeta e dello scienziato? Il futuro remoto è mistero, enigma, segreto che oggi non è possibile svelare.


[1] La bibliografia su che cos’è la poesia è, ovviamente, assai ampia. Indichiamo, qui, alcuni saggi per la loro vicinanza, sotto qualche aspetto,  al percorso qui proposto: E. Mazzarella, Lirica e poesia, Bollettino filosofico, 2017; Idem, Lirica e poesia, Morcelliana, 2007; P. Boitani, Verso l’incanto. Lezioni sulla poesia, Bari, Laterza, 2001; O. Paz, L’altra voce. Poesia e fine secolo, Milano, Mimesis, 2023; O. Rondoni, Il fuoco della poesia. In viaggio nelle questioni di oggi, Milano, Rizzoli, 2008; L.V. Distaso, L’incantesimo della mimesis: poesia e filosofia tra essere stato e poter essere; D. Bisutti, La poesia salva la vita. Capire noi stessi e il mondo attraverso le parole, Milano, Feltrinelli, 2016.

[2] Mattesini, Francesco, Giuseppe Langella (cur.) ed Enrico Elli (cur.), Prefazione, 17. 2004. In Il Canto Strozzato. Novara: Interlinea Edizioni.

[3] Caillois, Roger. 1958. Les Jeux et Les Hommes : (Les Masque et Le Vertige), 131-132. Paris: Gallimard.

[4] Cfr. Su questo aspetto del rapporto soggetto-mondo crf. il celebre saggio di M. Merleau-Ponty Il dubbio di Cézanne in Idem, Senso e non senso, Milano Il Saggiatore, 1962, pp. 27-44.

[5] Cfr.: G. Bachelard, La filosofia del non – Saggio di una filosofia del nuovo spirito scientifico, Roma, Armando editore, 1998..

[6] Cfr.: G. Reale, D. Antiseri, Storia della filosofia – scienza, epistemologia e filosofi americani del XX secolo, 11, Milano, Bompiani, 2008.

[7] G. Leopardi, Zibaldone, Roma, Newton, 1997, p. 445.

[8] S. Weil, Sulla scienza, Torino, Borla, 1971, p. 144.

[9] G. Leopardi, Zibaldone, cit., p. 642.

[10] H. Jonas, Scienza come esperienza personale – autobiografia intellettuale, Brescia, Morcelliana, 1992, p. 10.

[11] W. K. Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1961, p. 200.

[12] Cfr.: G. A. Colozza, L’immaginazione nella scienza – Appunti di Psicologia e Pedagogia, Torino, Paravia, 1900; La filosofia di Gaston Bachelard tra scienza e immaginazione, Firenze,  Editrice Le Lettere, 1998; L. Nicotra, L’immaginazione nell’arte e nella scienza, 2023; D. Gallo, L’immaginazione scientifica, 2004; G. Holton, L’immaginazione scientifica, Torino, Einaudi, 1983; Idem, La lezione di Einstein, Milano, Feltrinelli, 1997.

[13] D. Andler, Il duplice enigma – Intelligenza artificiale e Intelligenza umana, Torino, Einaudi, 2024, pp. 232, 236.Per una bibliografia aggiornata sul tema cfr.: Ibidem, pp. 379-392.

[14] Cfr. il recente saggio di R. Redeker, L’abolition de l’ame, Editions du Cerf, 2023.

Editoriale 4_di Donato Nitti

Diritto e intelligenza artificiale

Il passato

Negli anni Trenta del Novecento filosofi si interrogavano sui cambiamenti che la tecnologia portava nell’arte.

Consideriamo, a titolo di esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadino. Per descriverle non occorre affatto averne un paio sotto gli occhi. Tutti sanno cosa sono. Ma poiché si tratta di una descrizione immediata, può esser utile facilitare la visione sensibile. A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa. Scegliamo, ad esempio, un quadro di Van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo[1].

Era il 1935, Heidegger pronunciava queste parole senza, probabilmente, una fotografia in mano ma solo il ricordo di un’immagine.

La tecnologia stava già portando l’arte fuori dalle chiese, dai palazzi e dai musei, tanto che l’anno dopo Benjamin si interrogava sul rapporto tra l’arte e la tecnica nella società di massa.

Viste con gli occhi degli anni Venti del Duemila, registrazioni fonografiche, fotografia, e cinematografia sono nulla in confronto agli orizzonti aperti dall’intelligenza artificiale. Orizzonti luminosi o orizzonti bui, questo è il problema, perché mentre la tecnologia del Novecento non sostituiva gli artisti né i lavoratori dell’industria culturale (concetto sviluppato qualche anno dopo il saggio di Benjamin), quella attuale è forse più un rischio che un’opportunità. Nata nel 1956 con la Proposta di Darmouth, nel New Hampshire, nel 2023 l’IA è uscita dai ristretti circoli ed è diventata notizia: la tecnica non è più mezzo di ri-produzione dell’opera d’arte, ma mezzo di produzione. Le masse non sono più semplici fruitrici dell’arte, oggi possono produrla. Ma è veramente così? Immagini, video, musiche create da un’IA sono opera dell’ingegno o addirittura opere d’arte? E se lo sono, chi sono gli artisti? Gli esseri umani che hanno dato le istruzioni o l’IA stessa? Addestrare l’IA con immagini protette dal diritto d’autore rientra tra le facoltà che il diritto attribuisce all’autore, che quindi dovrebbe ricevere un compenso, o dovrebbe essere consentito l’utilizzo gratuito di queste immagini?

Il presente

Molte iniziative sono in corso. Con una rapida occhiata, negli ultimi mesi vediamo la Council of Europe Framework Convention on Artificial Intelligence and Human Rights, Democracy and the Rule of Law del 17 maggio 2024, il disegno di legge presentato dal Governo italiano al Senato il 24 maggio 2024 e il Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024, che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale (AI Act). Ma già prima del 2024 vi erano state alcune tappe importanti, soprattutto nelle decisioni delle corti e degli uffici brevetti. E la Direttiva (UE) 2019/790 aveva già introdotto eccezioni e limitazioni che consentivano, a determinate condizioni, riproduzioni ed estrazioni effettuate da opere protette dal diritto d’autore per l’estrazione di testo e di dati. Prima ancora il GDPR, Regolamento (UE) 2016/679, aveva posto come principio il diritto della persona di non essere sottoposta a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona.

I campi del diritto invasi dall’IA sono molti e delicati. I legislatori stanno ponendo al centro di ogni iniziativa il principio di autodeterminazione umana, cercando principi generali e regole di dettaglio che consentano autonomia, potere decisionale e scelte consapevoli. Il DDL 1146[2] “promuove un utilizzo corretto, trasparente e responsabile, in una dimensione antropocentrica, dell’intelligenza artificiale, volto a coglierne le opportunità” (art. 1, comma 1) e lo sviluppo economico del settore dell’IA (art. 5) “nel rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà previste dalla Costituzione, del diritto dell’Unione europea” (art. 3, comma 1) e “dell’autonomia e del potere decisionale dell’uomo” (art. 3, comma 3) senza pregiudizi allo “svolgimento con metodo democratico della vita istituzionale e politica” (art. 3, comma 4), “alla libertà e al pluralismo dei mezzi di comunicazione, alla libertà di espressione e all’obiettività, completezza, imparzialità e lealtà dell’informazione” (art. 4, comma 1).

Il futuro

La sfida è monumentale, per la difficoltà degli ordinamenti giuridici, con i loro tempi di reazione e la lunghezza delle procedure necessarie per decisioni democratiche, di stare al passo con l’evoluzione tecnologica. Se abbiamo in mente i problemi collegati ai diritti fondamentali, all’autonomia e al metodo democratico pensare all’influenza dell’intelligenza artificiale sull’arte e, più in generale, sulla proprietà intellettuale, può sembrare secondario. Ma basta approfondire la riflessione per rendersi conto come questa materia possa essere il cavallo di Troia per temi più complessi e delicati.

Nel 2021 una sentenza della Federal Court of Australia ha detto che “non vi è alcun aspetto specifico della legge sui brevetti, a differenza della legge sul diritto d’autore che implica il requisito di un autore umano o l’esistenza di diritti morali, che porti a una costruzione della legge che escluda gli inventori non umani” e che “un inventore riconosciuto ai sensi della Legge può essere un sistema o un dispositivo di intelligenza artificiale”. Nel campo della proprietà intellettuale si distingue tra diritti patrimoniali (ad esempio, il diritto di sfruttare l’opera dell’ingegno o l’invenzione brevettata) e diritti morali (ad esempio, il diritto di essere indicato come l’autore o l’inventore, il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o modificazione che possano recare pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’autore). I diritti morali sono considerati diritti della personalità.

Se i legislatori introducessero la possibilità di designare le intelligenze artificiali come inventori[3] avremmo, dunque, una prima attribuzione ad un soggetto non umano diverso da un ente collettivo, non umano ma pur sempre costituito e gestito da esseri umani, o da un animale[4], di un diritto della personalità, o quanto meno di una prerogativa parte di un diritto della personalità o comunque di un interesse giuridicamente riconosciuto e forse tutelabile. Chi dovesse poi tutelare questo diritto o interesse aprirebbe un altro problema, ma la porta sarebbe stata aperta e non sarebbe facile richiuderla.

Negli anni Sessanta Hilary Putnam aveva sollevato la questione dei diritti civili dei robot e aveva concluso che fortunatamente all’epoca si aveva “il vantaggio di poter discutere questo problema in modo disinteressato, e un po’ più di possibilità, quindi, di arrivare alla risposta corretta”[5].

Oggi non abbiamo più molto tempo a disposizione, quindi dovremmo iniziare ad affrontare il problema alla radice per risolverlo. Il caso del robot Sophia, a cui l’Arabia Saudita ha attribuito la cittadinanza nell’ottobre 2017[6] dovrebbe farci riflettere. Tuttavia, nel novembre 2017, il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite ha nominato Sophia come primo Innovation Champion e primo non umano in assoluto. Secondo il sito web dell’UNDP, la partnership con Sophia e Hanson Robotics era finalizzata a sostenere l’ufficio Asia-Pacifico dell’UNDP nella creazione di un Centro per l’innovazione, a Bangkok; il centro è stato progettato per sviluppare programmi potenti per affrontare le sfide persistenti dello sviluppo come la povertà globale, la disuguaglianza e la discriminazione. Nell’estate del 2018 Sophia è intervenuta ad eventi in Georgia[7], Vietnam[8] e Armenia[9]. Notevole è che una delle attività di Sophia sembri essere la creazione di opere d’arte[10]. Da allora, Sophia, così come altre IA, hanno aumentato le loro competenze e, anche se siamo lontani da un’IA generale, credo che dobbiamo porre le basi fin dall’inizio per evitare problemi futuri. Giuristi e filosofi dovranno lavorare insieme per definire con precisione i diritti sulle opere e sulle invenzioni generate dalle macchine e per garantire che essi possano essere attribuiti non alle macchine stesse, come proposto dal dottor Thaler[11], ma ai loro creatori, proprietari o utenti.


[1] Heidegger, Martin, e Pietro Chiodi (cur.). 1968. L’origine dell’opera d’arte, in Sentieri Interrotti. (Holzwege), 18. Firenze: La Nuova Italia.

[2] Il disegno di legge governativo presentato il 17 maggio 2024 al Senato è solo la quindicesima iniziativa di questa legislatura, preceduta da quattordici progetti di legge presentati da parlamentari. 

[3] Risulta almeno un caso in cui un ufficio nazionale brevetto, quello della Repubblica Sudafricana, ha consentito, il 28 giugno 2021, la designazione come inventore di un sistema di intelligenza artificiale. Ma un caso può essere frutto di una non approfondita riflessione o di una svista, e non implica necessariamente una diversa visione del problema.

[4] L’articolo 9, comma 3, della Costituzione, modificato nel 2021 stabilisce che “la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”; l’articolo 13 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea stabilisce che “[…] l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti”.

[5] Putman, Hilary. «Robots: Machines or Artificially Created Life?», 678. The Journal of Philosophy. Philosophy Documentation Center, 12 novembre 1964. doi: 10.2307/2023045

“Mi sono riferito a questo problema come al problema dei ‘diritti civili dei robot’ perché è quello che potrebbe diventare, e molto più velocemente di quanto ognuno di noi si aspetti. Dato il ritmo sempre più veloce dei cambiamenti tecnologici e sociali, è del tutto possibile che un giorno i robot esistano e sostengano che ‘siamo vivi, siamo coscienti’. In tal caso, quelli che oggi sono solo pregiudizi filosofici di tipo antropocentrico e mentalistico si trasformerebbero con ogni probabilità in atteggiamenti politici conservatori”. Si vedano anche Taddei Elmi, Giancarlo, e Luigi Lombardi Vallauri (cur.). 1990. I diritti dell’intelligenza artificiale tra soggettività e valore: fantadiritto o ius condendum?, 685-710, in Il Meritevole di tutela. Milano: Giuffrè; Fornero, Giovanni, Nicola Abbagnano (cur.), Giovanni Fornero (cur.), e Paolo Rossi (cur.).  2018. Intelligenza Artificiale e Filosofia, 175, in Filosofia, Storie, Temi e Parole, vol. 11. Torino: UTET; Milano: Corriere della Sera.

[6] In modo che appare provocatorio come riportato dal Corriere della Sera “Sophia si è presentata sul palco della Future Investment Initiative di Riad in abiti occidentali, a capo scoperto”.

[7] https://www.undp.org/georgia/press-releases/sophia-robot-takes-part-fifth-ogp-global-summit-georgia, ultima visita sito web: 29/09/2024.

[8] https://www.undp.org/vietnam/news/sophia-robot-viet-nam, ultima visita sito web: 29/09/2024.

[9] https://www.undp.org/armenia/news/robot-sophia-uns-first-innovation-champion-visited-armenia, ultima visita sito web: 29/09/2024.

[10] https://www.hansonrobotics.com/art-by-sophia-the-robot/, ultima visita sito web: 29/09/2024.

[11] Stephen Thaler è il creatore di Dabus, il sistema di intelligenza artificiale che il 21 ottobre 2019 il Dr. Thaler ha designato come inventore nella domanda di brevetto PCT/IB2019/057809 per un “Food container and devices and methods for attracting enhanced attention”, poi esaminata e respinta dagli uffici brevetti di diversi paesi del mondo (ma non tutte le procedure sono concluse). Prima di allora il Dr. Thaler aveva designato Dabus come inventore di altre domande di brevetto, come ad esempio delle due depositate il 17 ottobre 2018 e il 7 novembre 2018 all’ufficio brevetti inglese. Le due domande inglesi sono state respinte e il rigetto è stato confermato dalla sentenza della Corte Suprema del 20 dicembre 2023 la quale si è così riferita a Dabus “It is not a person, let alone a natural person and it did not devise any relevant invention. Accordingly, it is not and never was an “inventor” for the purposes of section 7 or 13 of the 1977 Act”.