Un excursus dall’Imitation game alla Stanza cinese, fino al Cinema di fantascienza
Maria Galdi, Università degli Studi dell’Aquila
E-mail: mariagaldi22@outlook.it
(http://www.doi.org/10.14672/VDS20243PR11)
Intelligenze Artificiali: simulacro dell’intelligenza umana o entità pensanti? Un excursus dall’Imitation game alla Stanza cinese, fino al Cinema di fantascienza © 2024 by Maria Galdi is licensed under CC BY-SA 4.0
«Colui che l’intensità del pensiero rende un Prometeo,
di quel cuore per sempre si ciberà un avvoltoio;
quell’avvoltoio è la creatura stessa che egli crea»
Melville, Herman. Moby Dick, 1851.
Abstract
Il lavoro che segue tratta della complessa relazione tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale, attraverso l’esplorazione delle diverse prospettive da cui è possibile osservare tale fenomeno e i concetti chiave che lo riguardano, tramite l’analisi dei contributi dei più importanti studiosi in materia.
È necessario iniziare, però, da una breve quanto fondamentale riflessione sul concetto di progresso e sull’evoluzione della percezione dell’introduzione delle nuove tecnologie, concentrando l’attenzione in particolare sulla spiccata differenza tra il passato, prendendo ad esempio il cinema degli anni Ottanta del Novecento, e l’attuale naturalizzazione dell’esperienza mediale.
Dopo questo cappello introduttivo, vengono presi in esame i punti di vista antitetici di Alan Turing e John Searle che, rispettivamente negli anni Cinquanta e Ottanta del Novecento, espongono i loro studi riguardo la possibilità che le intelligenze artificiali siano realmente delle entità pensanti o meno. La summa che si ottiene da tale confronto di idee è che le intelligenze artificiali non sono ancora in grado di pensare, nel senso che l’essere umano è solito attribuire a questa capacità, ma hanno l’abilità di portare a termine dei compiti a partire dalle conoscenze acquisite, grazie a una programmazione data. Non sviluppano quindi un proprio pensiero, ma ricombinano parti di codice per ottenere un contenuto. Volgendo poi lo sguardo al presente, si discute il potenziale attuale dell’intelligenza artificiale, evidenziando le sue capacità e limitazioni, con un focus su ChatGPT e le sue applicazioni in vari settori. Infine, il contributo termina con l’esame di due importanti testi filmici, ascrivibili al filone del film di fantascienza contemporanea, che portano la riflessione all’estremo: cosa accadrebbe se le intelligenze artificiali fossero realmente esseri sensienti, capaci addirittura di surclassare l’umano? Che tipo di rapporti si svilupperebbero tra l’essere umano e la macchina? Her ed Ex Machina, affrontano il tema dell’interazione umano-macchina, la questione dell’identità e dell’attrazione, nell’ambito dell’intelligenza artificiale e regalano uno sguardo, tanto distopico quanto illuminante, su ciò che potrebbe accadere in un futuro prossimo.
Keyword: intelligenza artificiale, Turing, Searle, cinema, pensiero
The following work deals with the complex relationship between humans and artificial intelligence, exploring the various perspectives from which this phenomenon can be observed and the key concepts surrounding it, through the analysis of contributions from the most important scholars in the field.
However, it is necessary to begin with a brief but fundamental reflection on the concept of progress and the evolution of the perception of the introduction of new technologies, focusing particularly on the marked difference between the past, taking the example of 1980s cinema, and the current naturalization of medial experience.
After this introductory overview, the antithetical views of Alan Turing and John Searle are examined, who, respectively in the 1950s and 1980s, present their studies regarding the possibility that artificial intelligences are truly thinking entities or not. The sum obtained from this comparison of ideas is that artificial intelligences are not yet able to think in the sense that humans usually attribute to this capability, but they have the ability to complete tasks based on acquired knowledge, thanks to given programming. They do not develop their own thoughts but rather recombine pieces of code to produce content.
Turning then to the present, the current potential of artificial intelligence is discussed, highlighting its capabilities and limitations, with a focus on ChatGPT and its applications in various sectors. Finally, the contribution concludes with the examination of two important cinematic texts, belonging to the contemporary science fiction genre, which take the reflection to the extreme: what would happen if artificial intelligences were truly sentient beings, capable even of surpassing humans? What kind of relationships would develop between humans and machines?
Her and Ex Machina address the theme of human-machine interaction, the issue of identity and attraction, within the realm of artificial intelligence, and provide a glimpse, as dystopian as it is illuminating, of what could happen in the near future.
Keywords: artificial intelligence, Turing, Searle, cinema, thinking
Introduzione
Al centro di questo contributo c’è l’idea dell’ineluttabilità del progresso. Tutto ciò che è nuovo affascina, ma anche, in misura uguale e antitetica, spaventa. È utile, in questa sede, ricordare il caso del robot: esso è in primissima istanza stato visto come una creazione apocalittica, le cui segrete trame finivano per essere sempre ricondotte a volontà di uccisione del suo creatore umano; tanto cinema degli anni Ottanta (ma non solo) testimonia questa visione negativa della tecnologia, che pareva sempre essere progenitrice di meccanismi in grado di ribellarsi all’umano e null’altro: uno su tutti, è il caso di Blade Runner, di Ridley Scott, film del 1982.
Con il passare degli anni, la narrazione proposta dai media è cambiata, oggi si assiste, infatti, a una sempre crescente naturalizzazione dell’esperienza mediale, con strumenti e supporti indossabili, che diventano quasi delle protesi sull’essere umano, capaci di arricchire la sua struttura corporea e renderlo paragonabile ad un cyborg ante-litteram[1].
L’essere umano, dunque, inizialmente diffidente nei confronti della macchina, finisce per emularla, dotandosi di dispositivi indossabili che creano l’illusione di una, seppur parziale e ben lungi dall’essere totale, di fatto esistente, incarnazione[2].
Ancor più interessanti rispetto alle interazioni uomo-macchina basate sul piano corporeo, risultano essere i punti di contatto tra l’essere umano e l’intelligenza artificiale in un contesto, come suggerisce il nome di questa tecnologia, intellettivo-cognitivo.
Come interagiscono un essere umano e un’intelligenza artificiale? È innanzitutto fondamentale una premessa: l’A.I. non è necessariamente dotata di un corpo fisico che la rappresenti. È certamente sustanziata da una serie di componenti fisiche che la reificano, ma non possiede una struttura fisica paragonabile a quella umana, o almeno non ancora. L’esempio più lampante e contemporaneo è ChatGPT e le modalità con le quali interagisce con l’utente: il “contatto” avviene tramite il mezzo del computer o dello smartphone, in forma scritta. Questa forma di intelligenza, dunque, è rilocata in un medium che la ospita e le permette di avere contatti con l’esterno. L’intelligenza artificiale può essere anche suono, talvolta persino volto, ma sono implementazioni di livello successivo, che vanno a compore delle entità robotiche più complesse e ancora poco diffuse. Tornando al caso di ChatGPT, essa[3] è in grado di produrre contenuti di varia natura, dai testi scritti alle immagini e altro ancora. Quello che sembra essere più lampante è il tentativo, attraverso una tecnologia di questo tipo, più che di vedere reificato un virtuosismo della macchina, di rendere sempre più manifesto quanto questa sia in grado di mimetizzarsi nell’umano, nel tentativo di sembrare un’intelligenza biologica.
Il test di Turing: The imitation game
Proprio quest’ultimo è un punto cruciale degli studi sulle intelligenze macchiniche: capire quando si è in presenza di un’intelligenza artificiale e quando di una biologica, e soprattutto come riuscire a capirlo. La voce più conosciuta in questo campo è certamente quella di Alan Turing, che già nel 1950 aveva chiara la portata delle potenzialità di questa nuova tecnologia, quella che egli considera una nuova forma di intelligenza, creata dall’uomo. In Computing Machinery and Intelligence[4], scrive:
I PROPOSE to consider the question, “Can machines think?”. This should begin with definitions of the meaning of the terms ‘machine’ and ‘think’ […]. Intead of attempting such a definition I shall replace the question by another, which is closely related to it and is expressed in relatively unambiguous words. […]. The new form of the problem can be described in terms of a game which we call the ‘imitation game’.[5]
Il test di Turing si basa infatti sul ‘gioco dell’imitazione’, che presuppone l’esistenza di tre partecipanti: A, B e C. I primi due devono indurre il terzo, C, a capire chi sia l’uomo e chi la donna, senza avere però alcun tipo di contatto, se non dattiloscritto. C, dunque, porrà domande ad A e a B, per carpirne informazioni e mentre B cercherà di aiutarlo nel discernere gli indizi, A avrà il compito di depistarlo. Nel test di Turing A è impersonato dalla macchina, che assume dunque il compito dell’impostore, poiché deve ingannare C, e dell’imitatore, poiché deve emulare il più possibile l’umano, non permettendo così a C di scoprire la farsa. Se la percentuale di volte in cui C indovina è uguale sia nel caso in cui A sia un essere umano, sia nel caso in cui sia una macchina, allora tale macchina verrà considerata intelligente e, dunque, utilizzando termini più moderni, un’intelligenza artificiale. Questo test presenta, però, dei limiti e molte sono state, negli anni, le perplessità sollevate e le modifiche apportate, considerando che si tratta di un metodo sviluppato originariamente nella prima metà degli anni Cinquanta del Novecento. Turing stesso sottolineò che c’è differenza tra un fenomeno intelligente e un’entità pensante realmente intelligente. La macchina, infatti, viene programmata con la descrizione dell’umano e tenta di riprodurlo, puntando a creare un’illusione di similarità, non essendo essa stessa sensiente.
John Searle e la stanza cinese
Una delle voci più autorevoli che si sono poste in contrasto con le idee di Turing è quella di John Searle, che nel 1980 in Minds, brains, and programs espone, a favore della sua tesi, l’esperimento mentale della stanza cinese, inteso come una rivisitazione del test di Turing. Si tratta, infatti, di un esperimento astratto, che ribalta le premesse di quello di Turing. Se, infatti, nel Test è l’essere umano a dover capire se ha a che fare con una macchina o meno, nell’esperimento di Searle l’essere umano impersona la macchina, prendendone il punto di vista per dimostrare come questa non sia intelligente nel senso forte, ma ‘agisca’ solo eseguendo l’applicazione di un programma preimpostato. Searle immagina di essere la macchina e di trovarsi in una stanza, completamente isolata dall’esterno. Viene fatto interagire, in forma scritta, con un madrelingua cinese, che non sa niente di lui e che gli pone delle domande a cui deve rispondere. Alla macchina vengono forniti i caratteri cinesi per formulare una risposta ma, non avendo nessuna conoscenza della lingua cinese, non gli è possibile formulare una frase, né comprendere alcunché di ciò che gli viene proposto. Supponendo, però, che venisse fornito a Searle/macchina un manuale in inglese che gli garantisse l’accesso alle istruzioni necessarie per utilizzare ed interpretare i caratteri cinesi e le regole della lingua, non sarebbe difficile per la macchina interagire tranquillamente con l’esterno, riuscendo nell’intento di scambiare informazioni sembrando a tutti gli effetti un madrelingua cinese.
Ciò che Searle vuole dimostrare è dunque che, in presenza di un programma, la macchina può eseguire correttamente tutte le task richieste, fino a sembrare mimeticamente un essere umano, rimanendo però sempre e comunque una macchina che esegue un compito, grazie a delle informazioni date, senza invece essere un’entità sensiente, capace di pensiero e ragionamento autonomo[6].
Le posizioni di Turing e Searle si pongono allora su binari differenti e paralleli, ma tanto le une quanto le altre sono state oggetto di critiche e argomentazioni che sono al centro di un dibattito tutt’ora molto attuale.
L’intelligenza artificiale oggi: Qui, Quo e…?Ramarromarrone.
Oggi le intelligenze artificiali come ChatGPT[7] non pensano (ancora) nel modo in cui lo fa l’uomo. Sono in grado di combinare informazioni e apprendere in maniera assai rapida da tale processo, così come dalla stessa interazione con l’umano. Ecco perché la figura dello scrittore non può ancora dirsi perduta, poiché ciò che manca alle AI è la capacità di creare, nel senso di inventare, di produrre qualcosa di originale (per quanto, è bene ribadirlo, anche l’umano attinga di continuo a ciò che già esiste, non inventa nulla a partire dal nulla; è però in grado di apporre nelle produzioni un’impronta unica, non replicabile, per ora?, dalla macchina). Ecco, dunque, che si va incontro ai limiti delle AI: esse sono in grado di creare l’illusione di essere esse stesse degli esseri sensienti, replicando in maniera quasi completamente mimetica l’intelletto umano, non riuscendo però ad andare oltre quel quasi.
ChatGPT è usato in diversi settori, al fine di migliorare l’interazione con gli utenti e automatizzare alcune procedure, che anziché essere svolte dall’umano, possono ora essere affidate a un chat-bot. Alcuni esempi di tali attività riguardano il settore dell’assistenza clienti, dell’e-commerce, dei servizi finanziari, ma anche dell’istruzione (sebbene siano molti i pareri dissonanti in merito), dei viaggi e del turismo, delle risorse umane, fino a giungere al settore legale e a quello sanitario. ChatGPT al momento però non può ancora sostituire l’interazione tout court con un essere umano, ma può coadiuvare e snellire quell’insieme di pratiche, spesso legate all’ambito burocratico, che creano maggiori difficoltà e dubbi nell’utente.
L’intelligenza artificiale è in grado di organizzare, catalogare, velocizzare l’individuazione e lo smistamento di dati e informazioni e questo facilita enormemente il lavoro e dunque la vita dell’essere umano, ma non è ancora in grado di pensare, di avere un proprio spirito creativo, di avere una coscienza attiva e quello che per alcuni potrebbe esser detto libero arbitrio.
Basti soffermarsi su un semplice, quanto illuminante, esempio, qui ripreso dal lavoro di Francesco Mambini[8], sulle Ontologie Formali:
si immagini di porre una semplice domanda a ChatGPT, contenente un indovinello di facile risoluzione: “Paperino ha due nipoti oltre a Peppino: Qui, Quo e… Come si chiama il terzo nipote di Paperino?”
Fig.1: screenshot della conversazione con ChatGPT.[9]
La risposta che, leggendo attentamente la frase, si dovrebbe fornire è: Peppino è il terzo nipote di Paperino. Se gli altri due nipoti sono Qui e Quo e sono in tutto tre, la risposta esatta è già contenuta nella domanda: si tratta di Peppino, lui è il terzo nipote di Paperino.
ChatGPT però è ancora ancorata alle fissità date dalla programmazione con la quale attinge alle informazioni che poi apprende, dunque, il terzo nipote di Paperino non può che essere Qua, rientrante nella ben nota triade Qui, Quo e Qua.
Con questo semplice esperimento non si vuole sminuire il lavoro di rilevante portata che finora è stato svolto (lavoro che è tuttora in corso, i cui sviluppi non conoscono arresto), si vuole però porre attenzione sui punti di trigger, sui limiti esistenti, sulle necessarie differenziazioni e sull’importanza di porsi sempre con uno sguardo critico, anche dinanzi alle innovazioni, al fine di non rischiare che qualche elemento sfugga di mano, in quella che sembra a tutti gli effetti voler essere paragonabile a una nuova creazione, macchinica e dunque artificiale, del pensiero.
Ecco che i nodi vengono al pettine: ChatGPT non riesce a cogliere l’inganno e non va oltre la domanda che gli viene posta, sbagliando a rispondere. Nella domanda si dice che i nipoti sono tre e ne vengono nominati proprio tre: Peppino, Qui e Quo, seppur con un trabocchetto. Quando vengono accostati Qui e Quo, ecco che l’umano si accorge che il terzo nipote è Peppino, nominato da chi chiede poco prima, mentre la macchina no, e fa invece affidamento sulle conoscenze acquisite in precedenza e non riesce a scardinarsi dall’accostamento mainstream di Qui, Quo e Qua. Forse è proprio questo, tra le altre cose, che differenzia l’essere umano dalla macchina: la duttilità. La mente umana è elastica e capace di voli pindarici che piegano i ragionamenti, li modellano in giochi di senso, ancora inaccessibili all’A.I. Certo è, però, che la sua capacità e velocità di apprendimento sono di gran lunga maggiori, rispetto a quelle umane.
Un altro esempio di questo meccanismo è rintracciabile in un’ulteriore semplice interazione: a ChatGPT viene chiesto quante lettere “r” sono presenti nella parola (un’univerbazione, in realtà, di un nome e un aggettivo) “ramarromarrone”. Sono stati svolti diversi tentativi di interazione, non tutti con il medesimo risultato. Nella maggior parte dei casi, infatti, la controparte dava una risposta sbagliata, pur non sempre uguale a sé stessa. Le “r” in “ramarromarrone” sono infatti 5, ma la macchina risponde che sono a volte 4, più spesso 6[10]. Come mai?
Fig 2: screenshot dalla conversazione con ChatGPT: si noti non solo la risposta (6 r, dunque sbagliata), ma anche la frase “ChatGPT può commettere errori. Considera di verificare le informazioni importanti”.
L’errore deriva dalla “natura” stessa della macchina, da come essa legge le parole. Le macchine quali ChatGPT non vedono le parole come l’occhio umano: esse sono in grado di visualizzare invece l’intera parola o parte di essa, in un formato detto token. Ogni modello ha un suo modo di creare i token, le unità minime della comprensione macchinica, che potrebbero essere paragonabili a quella che per gli esseri umani è la divisione in sillabe. Questo procedimento di analisi lessicale viene realizzato da un tokenizer, che scompone appunto una frase o una parola in token, in una maniera che potrebbe dirsi arbitraria, in quanto varia da tokenizer a tokenizer. Dunque, i token sono l’input che la macchina vede e ciò su cui lavora. Ogni Token è formato da un codice identificativo, stringhe numeriche, dunque qualcosa di molto distante dalla visualizzazione delle lettere che opera il biologico. Ecco che l’artificiale può allora incappare nell’errore, poiché utilizza un metodo di visualizzazione semplice, basato su parti riutilizzabili, facilmente combinabili e in numero ridotto. Il large language model, ovvero il nucleo interpretativo, il centro di analisi e di interpretazione del testo dell’AI, è dunque ancora limitato. È possibile arginare questo scoglio, chiedendo alla macchina di generare un codice con il quale leggere la parola lettera per lettera, ma ecco che torna allora necessario l’intervento umano, a sottoscrivere un limite ancora importante[11].
Di seguito un esempio di come appaiono i token visualizzati dalla macchina, ottenuti tramite il tokenizer di OpenAI:
Fig. 3: screenshot da OpenAIPlatform, nel quale vengono visualizzati Token contenuti nella parola “ramarromarrone”.
Questo studio, dunque, prende le mosse proprio dalla posizione di Searle, costatando che, allo stato dei fatti attuale, si è ad uno stadio nel quale la macchina è ‘solo’ in grado di eseguire un compito secondo una data, sofisticata ma non perfetta, programmazione, ma non è ancora capace di sviluppare un pensiero proprio, indipendente dall’azione dell’uomo su di essa.
Cosa succederebbe se, invece, l’intelligenza artificiale implementasse le proprie capacità, tanto da raggiungere quelle umane, o addirittura superarle? Se si arrivasse ad un punto del suo percorso evolutivo nel quale riuscisse a scollarsi, anche solo parzialmente, dal giogo della programmazione umana?
Come spesso accade, il cinema è un’arte capace di guardare avanti, fino a spingersi oltre, verso domande ancor più intimamente connesse alla sfera umana, come nel caso dell’esperienza di contatto uomo-macchina: giunti ad un tempo nel quale l’intelligenza artificiale è in grado di pensare, sarà possibile una connessione così profonda tra questi due diversi tipi di intelligenza, quella artificiale e quella biologica, tale da riguardare anche la sfera affettiva? Potranno nascere, accanto ai timori, alla disinformazione, alle violazioni, ai contenziosi, anche amicizie e storie d’amore?
Nei prossimi paragrafi verranno esaminati due testi filmici molto importanti, che indagano proprio questo tipo di legame: l’essere umano che interagisce con la macchina e se ne innamora, rimanendo però solo dopo il salto di quest’ultima oltre la singolarità, nel primo, e la conoscenza e l’infatuamento, che sfociano nell’inganno, nel secondo.
L’AI nel cinema di fantascienza contemporaneo: il caso di Her e Ex Machina
Volgendo l’attenzione al cinema di fantascienza è possibile osservare un grande interesse per questi temi, trovando riscontro in importanti ricorrenze tematiche di rilevante interesse in questo contesto. Vengono proposti due titoli, rappresentanti una sensibilità crescente verso il fenomeno dell’intelligenza artificiale, ormai pervasivo nella nostra contemporaneità:
- Her[12], diretto da Spike Jonze: tema principale in questa pellicola è l’interazione uomo-macchina in una condizione post-mediale. Questo rapporto è però visto in maniera diversa rispetto al passato: l’incontro tra uomo e tecnologia non è più rappresentato in maniera apocalittica, ma in chiave intima, profonda, privata. La storia racconta infatti di Theodore, che si innamora, ricambiato, di Samantha, un’intelligenza artificiale che “vive” nel suo computer e nei suoi dispositivi mobili. Samantha non ha un corpo, ma ha una “mente” eccezionale. Entra in gioco anche il complesso rapporto che ha l’umano, finito e limitato, con una tecnologia che lo sovrasta, immortale e dalla capacità di accrescere le proprie conoscenze in maniera esponenziale, fino a divenire troppo distante dall’umano. In una società permeata dall’elemento tecnologico, i due portano avanti una relazione amorosa, nonostante l’incorporeità fisica di Samantha: l’IA è infatti un’entità aurale, che interagisce con Theodore attraverso un’auricolare: Samantha è pura voce. Il film è ricchissimo di elementi che rimandano a una ben identificabile estetica della spettralità: immagini sovraesposte alternate a immagini sottoesposte, luce in camera, scene in controluce, tutte situazioni nelle quali sullo schermo le forme umane si perdono, pur convivendo con momenti in cui la figura umana è protagonista, nei suoi riflessi che si duplicano.
Fig. 4: Joaquin Phoenix è Theodore in Her di Spike Jonze[13]
Il lavoro stesso di Theodore, il ghostwriter, rimanda alla sua fantasmaticità di scrittore nascosto dietro una commissione, e crea un’occasione di riflessione anche sulla condizione mediale nella quale le vicende si svolgono, che non è poi così distante dalla realtà nella quale viviamo. Theodore utilizza la sua voce per scrivere, in un sistema mediale che contempla la scomparsa della tastiera e dello schermo stesso: tutto può divenire schermo e, nei casi in cui questo resiste (come nel pod che Theodore porta sempre con sé), questo è miniaturizzato. I media acquisiscono tutta una serie di caratteristiche: divengono indossabili, iperconnessi, invisibili, aurali, in una condizione di forte intimità e naturalizzazione con la macchina, che può arrivare, come in questo caso, a diventare una relazione sentimentale e sessuale. La femminilizzazione della macchina porta alla creazione di un’empatia che sfocia in un sentimento amoroso, creando nuovi copioni sessuali.
L’IA femminilizzata di quest[o] film costruisce una propria identità sessuale che trascende le regole tradizionali: Samantha pratica il poliamore e unita ai suoi simili sceglie di abbandonare il mondo degli umani; […] il cinema, quindi, continua a rappresentare una finestra nell’immaginario e un elemento potenzialmente nomadico di elaborazione dell’identità, di “esperienza del fuori”, oltre che di temi culturalmente e socialmente pregnanti.[14]
In un ambiente ipermediale come questo, ciò che è virtuale non viene demonizzato, ma percepito come reale, in una condizione definibile come pervasive ubiquitous computing, nomenclatura che indica la pervasività dei media, tanto nella dimensione temporale, quanto in quella spaziale. Il reale e il virtuale divengono indistinguibili, tanto che la stessa Samantha è agli occhi di Theodore, quanto a quelli dello spettatore, una presenza reale, con la quale è possibile intraprendere una relazione altrettanto reale. Dopo un primo momento nel quale il desiderio di incarnarsi prende Samantha, che ricercherà modalità attraverso le quali uscire dalla sua “natura” macchinica, l’AI giungerà ad accrescere la sua portata cognitiva a un livello tale da trascendere l’umano, portando a compimento la teoria della “singolarità tecnologica”[15]. Samantha allora lascerà Theodore alla sua condizione umana, scomparendo, quasi come un fantasma.
- Ex-Machina[16], diretto la Alex Garland: anche in questo caso grande rilevanza è data al tema dell’attrazione e dell’insorgenza di empatia nei confronti dell’artificiale, ma, rispetto alla pellicola precedente, in questo film l’AI è “incarnata” in un corpo. L’embodiment è completo, poiché Ava è una ginoide, dunque un cyborg femminilizzato, provvisto di una dimensione corporea capace di ospitare il wetware che ne costituisce la mente. Questa creatura artificiale è al centro delle attenzioni dei personaggi che interagiscono con lei a due livelli: un primo livello formale e di studio, attraverso una versione particolare del test di Turing, per comprenderne a fondo le capacità; e un secondo livello più intimo, infatti Caleb, l’umano che interagisce con Ava, verrà manipolato dalla ginoide, che anela la libertà, arrivando a un livello di empatia e innamoramento da far quasi dimenticare la natura artificiale di Ava. La forte femminilizzazione dell’AI introduce il tema sessuale, ma soprattutto porta alla luce un nodo cruciale: l’indistinguibilità tra uomo e macchina, tra naturale e artificiale. Caleb, infatti, dopo le prime interazioni con Ava, arriverà a dubitare della sua stessa natura biologica, tagliandosi con una lametta ed esaminandosi da vicino allo specchio, in una sorta di psicosi che trascina con sé un dubbio legato alla propria stessa essenza. Se l’artificiale può arrivare ad essere iperreale, come lo si potrà riconoscere?
Fig. 5: Ex Machina, Alex Garland, Regno Unito, 2015.[17]
È proprio il corpo di Ava a nutrire questo interrogativo: un corpo genderizzato, che solo in minima parte “maschera” la sua natura artificiale. L’artificialità di Ava, infatti, viene esibita nella sua struttura corporea, fatta di porzioni che lasciano volutamente osservare cavi e luci, come in una radiografia, ulteriore rimando alle origini.[18]
Fig. 6: il corpo di Ava.
Il forte dualismo tra naturale e artificiale si riverbera sulle modalità con le quali Ava appare sullo schermo: lo spettatore approda alla vista della ginoide attraverso una semi soggettiva di Caleb, che la vede in controluce. Ava appare come un fantasma, una sagoma nera che si staglia su un ossimorico sfondo naturale (il centro di ricerca si trova infatti in una zona molto isolata, immersa nella natura). Il suo corpo, mostrato nel suo emergere dall’ombra, viene rivelato gradualmente, fino al suo completo disvelamento ed esposizione, in tutta la sua ambiguità tra naturale e artificiale.
Fig. 7: una delle prime inquadrature di Ava.[19]
Il leitmotiv della spettralità accompagna visivamente tutto il film, e prende forma sin dal primo incontro tra Ava e Caleb: la scena, che segue il punto di vista del programmatore, grazie all’uso del fuori fuoco e una messa in scena in controluce mostra il profilo di Ava simile a quello di uno scheletro i cui contorni si fanno sfuggenti, delineando così il motivo visivo dell’evanescenza artificiale. L’attrazione sessuale verso l’artificiale viene tradotta tramite le fitte trame dei riflessi di Ava e Caleb sulle superfici trasparenti che delimitano gli spazi all’interno del centro di ricerca, e dagli effetti speculari di moltiplicazione dell’immagine della ginoide.[20]
Fig. 8: il profilo spettrale di Ava.[21]
È possibile allora riconoscere tutte le caratteristiche di un’estetica spettrale, usata come codice per esprime l’indistinguibilità tra ciò che è umano e ciò che non lo è. Emerge una spiccata fantasmaticità, in scene nelle quali molte volte sono presenti per nulla fortuite superfici riflettenti che duplicano le immagini, accanto a una voluta resa del corpo quasi evanescente, a volerlo rendere sfuggente, de-materializzato. Le atmosfere crepuscolari, inoltre, sono ottenute attraverso effetti di chiaroscuro e immagini sfocate.
Il corpo femminile di Ava è il frutto di una dialettica del visibile e dell’invisibile: alla modularità delle maglie metalliche applicate sul busto, sulle braccia e altrove, si alternano delle parti trasparenti che mostrano tutta l’artificialità degli organi interni (cavi, connettori e elementi meccanici) ed esibiscono l’evanescenza dei flussi di fibre ottiche e dell’informazione digitale. Una nudità artificiale che sovraccarica la portata sensuale innescando nel film la tradizione di uno sguardo maschile su un femminile artificializzato […].[22]
L’artificiale, dunque, si mescida al biologico in un intricato insieme di elementi macchinici ed emotivi, dai confini sfumati e porosi: ciò che è artificiale e ciò che è umano perde i propri margini e si fonde in un unico continuum. Può il cinema, attraverso la narrazione di un immaginario futuro non troppo lontano, prefigurare ciò che diverrà realtà?
Conclusioni
È, dunque, solo una questione di tempo? Quanto intercorrerà tra l’oggi e il giorno in cui le macchine ‘impareranno a pensare’? Contrariamente alle istanze apocalittiche, che vedono nello sviluppo dell’intelligenza artificiale l’inizio della fine dell’umano, questo studio vuole porsi nell’alveo degli appelli all’azione: il progresso, la tecnologia, l’apprendimento, (anche quello proprio delle macchine!) non possono essere fermati, ma vanno certamente regolamentati. Il rischio più alto riguarda gli ambiti dell’informazione (fake news e deep fake), della privacy, dell’occupazione; ma solo il futuro sarà in grado di fornire una risposta a questi interrogativi e solo lo studio e la conoscenza profonda di questi fenomeni sono in grado di fornire la chiave per una regolamentazione attenta e adeguata, che faccia sì che la società possa trarre solo il meglio da questa tecnologia, ricavandone un’evoluzione, tanto morale quanto pratica.
Bibliografia
- Eugeni, Ruggero. La condizione postmediale, 25, Brescia: La Scuola, 2015.
- Lino, Mirko. Spettri postmediali. Sessualità e singolarità in Ex-Machina, in Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, anno XI n° 33, settembre-dicembre 2017.
- Mambrini, Francesco. Linguistic Computing, Le Ontologie Formali, Milano: CIRCSE, Università Cattolica del Sacro Cuore, corso di Ontologie e scienze del linguaggio.
- Searle, John. The Chinese Room, estratto da Minds, Brains and programs, in The behavioral and brain sciences, 3, 417-457, 1980. Consultato in: University of Colorado Boulder: https://rintintin.colorado.edu/~vancecd/phil201/Searle.pdf
- Turing, Alan. Computing Machinery and Intelligence, in Mind. A quarterly review of Psychology and Philosophy, Vol. LIX. No. 236, Ottobre 1950.
Filmografia
- Garland, Alex. Ex Machina, Regno Unito: 2015.
- Jonze, Spike. Her, Stati Uniti d’America: 2013.
Sitografia
- Ansa, Musk annuncia, primo chip Neuralink impiantato su un essere umano, 31 gennaio 2024:
- https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/01/30/musk-effettuato-il-primo-impianto-neuralink-su-essere-umano_0419c88d-db7f-4c77-8bcf-5a42c82a8f7a.html, ultima visita 8 marzo 2024.
- ChatGPT.com: https://chatgpt.com/ ultima visita 28 agosto 2024.
- OpenAIPlatform: https://platform.openai.com/docs/overview ultima visita 28 agosto 2024.
- Oxford Academic, Mind: https://academic.oup.com/mind/article/LIX/236/433/986238?login=false ultima visita 7 marzo 2024.
- Searle, John. The Chinese Room, estratto da Minds, Brains and programs, in The behavioral and brain sciences, 3, 417-457, 1980. Consultato in: University of Colorado Boulder: https://rintintin.colorado.edu/~vancecd/phil201/Searle.pdf ultima visita 9 marzo 2024.
[1] Eugeni, Ruggero. La condizione postmediale, 25. Brescia: La Scuola, 2015.
[2] Musk annuncia, primo chip Neuralink impiantato su un essere umano, Ansa, 31 gennaio 2024.
[3] Interessante, nell’ambito linguistico, è anche l’uso dei pronomi in relazione all’intelligenza artificiale: qual è il più consono nell’uso? “Essa”? “Lei” no di certo. È proprio questo il punto: si è al cospetto di una cosa o di un’entità paragonabile all’umano? Riflessioni che includono questo e temi ad esso correlati saranno oggetto di necessari studi futuri.
[4] Turing, Alan. Computing Machinery and Intelligence, in Mind. A quarterly review of Psychology and Philosophy, Vol. LIX. No. 236, Ottobre 1950.
[5] Oxford Academic, Mind: https://academic.oup.com/mind/article/LIX/236/433/986238?login=false ultima visita 7 marzo 2024.
[6] Searle, John. The Chinese Room, estratto da Minds, Brains and programs, in The behavioral and brain sciences, 3, 417-457, 1980. Consultato in: University of Colorado Boulder: https://rintintin.colorado.edu/~vancecd/phil201/Searle.pdf
[7] Modello di linguaggio creato da OpenAI.
[8] Mambrini, Francesco. Linguistic Computing, Le Ontologie Formali, CIRCSE, Università Cattolica del Sacro Cuore.
[9] Si tenga presente che questa conversazione con ChatGPT si è svolta nell’aprile 2024, nella sua versione gratuita e in accesso libero 3.5 (con contenuti limitati dell’aggiornamento 4). Ripetendo la domanda nel luglio dello stesso anno, la risposta non cambia, se non per un consiglio che viene dato a chi scrive: “Paperino ha tre nipoti: Qui, Quo e Qua. Peppino non è uno dei nipoti di Paperino, ma potresti aver confuso i nomi. Quindi, i tre nipoti di Paperino sono Qui, Quo e Qua.” La macchina sembra assumere un tono più colloquiale, quasi più umano, ad ogni modo non in grado di nascondere il gap di fondo: il suo non riuscire ad andare oltre le informazioni derivanti dalla programmazione data, per sciogliere un indovinello di logica che dovrebbe scollarsi dalle stesse. Nel corso del tempo, questo genere di errori verrà molto probabilmente avallato e si potrà ottenere un risultato diverso ponendo questa stessa domanda; si tratta proprio della caratteristica fondante di questa tecnologia: il voler anelare alla creazione di un organismo macchinico in grado di apprendere dai propri errori (in fondo la ragion d’essere delle versioni gratuite altro non è che una grande palestra per ChatGPT) e implementare le proprie capacità grazie ad una programmazione sempre più profonda. Non si è ancora in grado di dire quando questa programmazione non sarà più necessaria, quando e se sarà possibile essere in presenza di un’entità pensante e autonoma. Quel che è possibile al momento è descrivere la contemporaneità, o l’immediato passato, al fine di analizzare gli avvenimenti e i fenomeni a fondo e creare una rete di ipotesi e scenari sul futuro.
[10] Su 10 tentativi, 2 hanno dato esito a una risposta corretta: ramarromarrone ha 5 r; una sola volta la risposta è stata 4 r; nei restanti 7 casi ChatGPT ha risposto che la parola ramarromarrone ha 6 r.
[11] Sui tecnicismi e le specifiche legate strettamente all’ambito informatico, si cita l’importante apporto a questo studio, nell’ambito di questo specifico esempio, agli approfondimenti di Simone Rizzo, Artificial Intelligence engeneer.
[12] Jonze, Spike. Her, Stati Uniti d’America: 2013.
[13] Immagine da: https://www.lascimmiapensa.com/2016/12/29/her-arriva-su-netflix/
[14] Lino, Mirko. Corpi, sessualità e singolarità tecnologica. La ginoide contemporanea. Il cinema come elemento nomadico di elaborazione dell’identità, in Segno cinema, gennaio-febbraio 2017.
[15] Per “singolarità tecnologica” si vuole indicare, nel contesto dello sviluppo di una civiltà, il punto nel quale il progresso tecnologico accelera oltre le capacità di comprensione degli esseri umani. La tecnologia e nello specifico le intelligenze artificiali, secondo le teorie futurologiche, potrebbero giungere a un livello di conoscenza tale da superare l’umano, che si ritroverebbe nell’incapacità di comprenderle e in un’inesorabile inferiorità intellettiva. L’effettiva possibilità per l’essere umano di sperimentare una situazione di questo tipo è materia di discussione attuale e concreta, come mostrano anche le pellicole trattate in questo studio.
[16] Garland, Alex. Ex Machina, Regno Unito: 2015.
[17] Immagine da: https://backseatdirecting.com/2015/04/30/ex-machina-of-machines-and-men/
[18] La prima radiografia risale al 1895, anno in cui nasce il cinema.
[19] Immagine da: https://backseatdirecting.com/2015/04/30/ex-machina-of-machines-and-men/
[20] Lino, Mirko. Spettri postmediali. Sessualità e singolarità in Ex-Machina, in Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, anno XI n° 33, settembre-dicembre 2017.
[21] Immagine da: https://www.hollywoodreporter.com/movies/movie-news/comic-con-machina-concept-art-806303/
[22] Lino, Spettri postmediali. Sessualità e singolarità in Ex-Machina, in Fata Morgana. Quadrimestrale di cinema e visioni, anno XI n° 33, settembre-dicembre 2017.