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Danilo Campanella, Pontificia Università Lateranense
E-mail: danilocampanella84@gmail.com
doi: 10.14672/vds20231ip2
(https://doi.org/10.14672/vds20231ip2)
Abstract
Con la nascita della società di massa, sia le multinazionali del mercato globale, sia gli Stati nazionali, hanno avuto bisogno tanto di soddisfare le esigenze e i desideri dei cittadini, quanto di bilanciare la libertà individuale con la sicurezza pubblica. L’accrescersi del ruolo delle masse nello svolgimento della vita politica ed economica ha coinciso con l’aumento di alcuni fattori, quali: omologazione, conformismo, information overload, eterodirezione, infodemia, diminuzione del quoziente di intelligenza e della memoria. L’autore teorizza il processo per cui, per governare non più il cittadino, ma la massa, i governi deleghino ai mass media, attraverso il marketing, il compito di far propaganda commerciale, la pubblicità, le mode culturali, di formare e informare gli individui, per costruire una nuova personalità del cittadino-medio, che diventa così un soggetto adatto per la massa (soggetto di massa) attraverso un insieme di processi che l’autore definisce di “spersonalizzazione progressiva”, traendo spunto da un concetto di Karl Popper in The Open Society[1] (1945), della “depersonalized society”. Questi concetti diventano adatti a sostituire la personalità individuale con una personalità collettiva, per costruire una personalità che coincida tanto con le necessità economiche del mercato globale, quanto con i limiti del sistema di controllo.
Keywords: intelligenza e quoziente intellettivo, mass media, consenso, condizionamento, globalizzazione
With the rise of mass society, global market corporations and nation-states have needed as much to satisfy the needs and desires of citizens as to balance individual freedom with public security. The increase of the role of the masses in the conduct of political and economic life has coincided with the rise of certain factors, such as homogenization, conformism, information overload, hetero-direction, excessive amount of information, and decreased IQ and memory. The author theorizes the process whereby, to govern no longer the citizen but the mass, governments concede to the mass media through marketing, commercial propaganda, advertising, and cultural fashions, to train and inform individuals, to build a new personality of the average citizen, who thus becomes a suitable subject for the mass (mass subject) through a set of processes that the author calls “progressive depersonalization,” drawing inspiration from a Karl Popper’s concept in The Open Society (1945) of the “depersonalized society.” These concepts become ideal for replacing the individual personality with a collective nature, for building a personality that coincides as much with the economic needs of the global market as with the boundaries of the monitoring and control system.
Keywords: intelligence and IQ, mass media, consent, conditioning, globalization
Introduzione
Lo Stato è, in senso moderno, la comunità politica per eccellenza. Nella definizione della filosofa Edith Stein lo Stato è quell’associazione umana nata nell’età moderna, fondata:
[…] a somiglianza dello Stato romano e della polis greca, da una struttura giuridica che rende tutti gli appartenenti a tale associazione uguali di fronte alla legge […] non si tratta […] di un patto fra cittadini, secondo la tesi contrattualistica prevalentemente sostenuta; al contrario, la sua genesi deve attribuirsi a una struttura comunitaria […] sembra strano che si possa parlare di una comunità statale, se lo Stato moderno è caratterizzato da una struttura giuridica. In primo luogo, dobbiamo notare che anche la famiglia può inserirsi in tale struttura; anzi, a partire dall’età moderna si inserisce in essa grazie al vincolo matrimoniale, giuridicamente riconosciuto […] Su questa linea si inserisce la comunità statale […] se questo viene meno, la comunità non si costituisce e, pertanto, viene meno lo Stato, come accade per una famiglia, che si disgrega se i membri non accettano il coinvolgimento personale in modo consapevole[2].
Con Thomas Hobbes (1588-1679) la filosofia del diritto e la filosofia politica si sono concentrate nel trovare un nuovo equilibrio tra il desiderio di libertà degli individui e la necessità di difendere lo Stato dalla deriva delle libertà dei singoli. Questa esigenza portò alcuni filosofi a intendere sempre più lo Stato come un garante dei diritti e della sicurezza delle persone all’interno dei confini statali. Lo Stato deve tutelare la libertà degli individui, come anche la proprietà privata, ma se per Hobbes lo Stato precede la proprietà, ed è sempre lo Stato a decidere cosa un individuo debba considerare “suo”, per il filosofo John Locke (1632-1704) la proprietà precede lo Stato e ognuno la acquisisce da solo senza il consenso dello stesso (liberalismo lockiano). Dalla proprietà comune, propria dello stato di natura, si passa a quella privata, propria della società civile.
La Rivoluzione francese (1789) demarcò una necessaria separazione tra potere spirituale e temporale; un distacco sempre più palese tra filosofia e religione, con il progressivo distanziamento da quest’ultima del diritto e della politica; si fece sempre più spazio il concetto di proprietà privata. L’età moderna, in senso economico-politico, è nata in Europa con la progressiva recinzione delle terre comuni tra il XIV e il XVI secolo, con il progressivo abbandono della dimensione collettiva del lavoro e della vita, peculiare del periodo medievale, in cui i lavoratori più poveri e numerosi, i servi della gleba, assimilabili ai villeins inglesi, appartenevano alla terra, ma la terra non apparteneva a loro, poiché era di Dio come bene comune, amministrato dall’aristocrazia e dai chierici, quindi, dai nobili e dalla Chiesa. I grandi proprietari terrieri volevano valorizzare le loro terre. Nel 1285 con il nuovo Statuto di Westminster fu consentito loro di recintare i common lands escludendone anche gli affittuari. Il passaggio da un’economia e da una cultura fondamentalmente feudale a una di tipo commerciale fu progressivo, aiutato dal protestantesimo e dalla sempre più netta distinzione fra Stato e Chiesa, politica e religione, tanto da portare alla caduta della monarchia inglese e alla decapitazione di re Carlo I il 30 gennaio 1649. Se prima di allora un ricco possidente aveva bisogno della decisione di un magistrato locale per vedersi riconoscere il diritto a una recinzione, dal 1709 fu il Parlamento inglese a sancirle e il concetto di “proprietà” muta ancor più velocemente, con la secolarizzazione della società, attraverso il passaggio da una rivoluzione agraria a una industriale. La ricchezza, si riteneva, si crea solo con la proprietà privata; cominciando a credere che ciò che viene amministrato da uno soltanto, l’imprenditore, sia meglio di ciò che viene amministrato da molti. Si dirà certo che nel frattempo vi è stata un’altra grande rivoluzione, quella socialista; ma in tal senso il socialismo è stato una parentesi, nel panorama storico, tra il capitalismo nascente e il capitalismo consolidato di oggi. In questo articolo si espone un concetto di delega in negativo che può essere portato in positivo utilizzando meglio certi strumenti e provando a cessare di farsi da essi utilizzare.
Dallo Stato alla società di massa
Nel XVII secolo all’interno del saggio “Il Leviatano” Hobbes propose un nuovo concetto di Stato, e i grandi riformatori, del XVIII e del XIX secolo, si adoperarono proponendo nuovi paradigmi, per nuove esigenze, che arrivarono ben oltre l’Europa. La Corte Suprema degli Stati Uniti darà inizio a un passaggio fondamentale per la società moderna e contemporanea: la creazione delle potestà indirette che, da un punto di vista giuridico, opereranno come individui, sebbene siano “cose”. Nei secoli successivi l’industria, grazie alle nuove rivoluzioni industriali, si fa sempre più forte, ricca e autonoma dagli Stati nazionali. Le aziende assumono esse stesse la forma degli Stati, vantando sovente un pil nettamente superiore a quello di questi ultimi: “La “metafisica dell’utile”, proposta da una certa tradizione economica, ha confermato la sua incapacità di risolvere anche i problemi pratici della vita dell’uomo contemporaneo, ponendo importanza sul profitto e non sul valore, sulla crescita e non sulla sostenibilità; come ci ha insegnato la storia, di crescita si può anche morire”[3]. Il Novecento è stato sicuramente il secolo delle masse. Lenin, Hitler e Mussolini lessero l’opera di Gustave Le Bon, psicologo, il primo che studiò scientificamente il comportamento delle folle cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle. L’uso di determinate tecniche di persuasione nella dittatura nazionalsocialista sembra ispirato direttamente alle sue ricerche. In effetti gli scritti di Le Bon, ed in particolare la Psicologia delle Folle[4], edita nel 1895, erano testi importanti per gli statisti del tempo. Il popolo o, come lo chiamava Le Bon, la massa, era un mezzo per imporre il volere dell’individuo “scelto”, il capo e i suoi gregari, un sistema di ottimati che guidavano e controllavano la massa:
Voi sapete che io non adoro la nuova divinità: la massa. È una creazione della democrazia e del socialismo. Soltanto perché sono molti devono avere ragione. Niente affatto. Si verifica spesso l’opposto, cioè che il numero è contrario alla ragione. In ogni caso la storia dimostra che sempre delle minoranze, esigue da principio, hanno prodotto profondi sconvolgimenti delle società umane[5].
In realtà tutti i regimi fascisti e nazional-socialisti dovettero ingraziarsi i movimenti operai sostituendo a quelli di matrice socialista e comunista quelli propri, sostituendo, di fatto, il sindacalismo militante col corporativismo di Stato. Per questo, una riduzione per sommi capi potrebbe sintetizzare che il comunismo dissolse tutto, anche lo Stato, per assimilarlo nel partito; mentre il fascismo dissolse tutto, anche il partito, per assimilarlo nello Stato. Trattasi, ovviamente, di riduzioni, in quanto fenomeni storici assai complessi. Un Ente di hobbesiana memoria, alimentato da un idealismo politico di eco hegeliano, assoluto, totalizzante.
Caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello Stato, della sua essenza, dei suoi compiti, delle sue finalità. Per il fascismo lo Stato è un assoluto, davanti al quale individui e gruppi sono il relativo […] Lo Stato liberale non dirige il giuoco e lo sviluppo materiale e spirituale della collettività, ma si limita a registrare i risultati; lo Stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà; per questo si chiama uno Stato etico. Nel 1929 alla prima assemblea quinquennale del regime io dicevo: Per il fascismo lo Stato non è il guardiano notturno che si occupa soltanto della sicurezza personale dei cittadini; non è nemmeno una organizzazione a fini puramente materiali […]Lo Stato così come il fascismo lo concepisce e attua è un fatto spirituale e morale […] una manifestazione dello spirito […]Lo Stato non è soltanto presente, ma è anche passato e soprattutto futuro[6].
Una impostazione non dissimile da quella tedesca, per cui i sindacati erano necessari per il progetto politico del futuro. I sindacati erano, per il nazismo, le istituzioni più importanti della vita economica della nazione. Essi, nella visione politica hitleriana, erano fondamentali per il futuro Parlamento economico e le future Camere delle classi[7], progetti germinali nella mente di Adolf Hitler[8]. La nascita della massa, intesa come grande quantità indistinta di persone che agisce in maniera uniforme, fu il risultato di un processo storico a cui concorsero una pluralità di cause, e che iniziò a prendere forma sul finire del XIX secolo. Nella creazione della società massificata un ruolo importante venne svolto dall’avanzare del progresso tecnologico, inteso come processo di standardizzazione.
Spersonalizzazione progressiva e condizionamento
Con la fine del secondo conflitto bellico mondiale, la nuova economia finanziaria avanza rapidamente, grazie alle conquiste dei nuovi Media e dell’automazione. Ai primi del Novecento al termine di “cittadino” si affianca quello di “consumatore”, utilizzato non di rado come sinonimo; ma è nel postmodernismo, dagli anni Cinquanta, che il cittadino viene considerato sempre più in quanto utilizzatore di beni e servizi: un elemento del sistema economico. L’evoluzione della società, che ha preceduto il XX secolo, ha portato alla necessità di ripensare i meccanismi del controllo sociale, non certo di eliminarli. Tra il 1940 e il ’45 nasce, soprattutto in Inghilterra e negli USA, l’interesse per i meccanismi sociali, studiati in ambito clinico, attraverso il trattamento delle nevrosi di guerra e la riabilitazione dei reduci. Dopo la Seconda guerra mondiale si comincerà a parlare di “psicologia sociale” e psichiatri, psicologi e psicoanalisti vedranno, in ciò che resta del passato conflitto bellico, una fucina di utili informazioni, socio-psico-antropologiche, per le loro ricerche socioanalitiche. Scienziati, come Bridger, Sutherland, Rickman e Bion, si impegneranno nello studio delle dinamiche dei gruppi e delle organizzazioni sociali. Nel 1956 Solomon Asch (1907-1956) conclude l’esperimento che prova la conformazione del pensiero dell’individuo a quello del gruppo sociale in cui si trova, ossia il conformismo. Tale esperienza rappresenterà il passo decisivo negli studi sul condizionamento umano, a cui si aggiungerà l’esperimento dello psicologo Stanley Milgram (1933-1984). Tale esperimento dimostra quanto si possano condizionare persino i valori morali di uno o più soggetti sottoposti all’influenza di un’autorità. Milgram era particolarmente interessato all’influenza che i mass media, in quel caso la televisione, hanno sui soggetti umani[9]. Questi esperimenti avevano lo scopo di formulare una teoria clinica dell’organizzazione sociale, attraverso lo studio del comportamento di soggetti individuali sempre più slegati dai vecchi condizionamenti di tipo ideologico o religioso. Con gli esperimenti di psicologia sociale venne riscontrato che un individuo tende a comportarsi in maniera differente in gruppo. Mentre il singolo individuo, che mantiene elevate capacità di critica e di coscienza, preso singolarmente e posto davanti a scelte anche impegnative, mantiene una individualità psicologica propria, nei gruppi questa individualità non è più possibile e progressivamente viene meno. Ciò è dovuto a fattori bio-psico-sociali che concorrono al conformismo della persona. Si evince, quindi, che il soggetto si comporta in maniera distinta se opera a livello individuale, piuttosto che a livello collettivo. La progressiva tendenza a perdere la propria personalità in favore delle scelte di gruppo e dei membri più influenti nello stesso, seguendo la definizione di Popper e facendola mia con le opportune personalizzazioni, io la definii nel 2016[10] come Legge di spersonalizzazione progressiva, senza tuttavia enunciarla compiutamente. Questa può essere riassunta nel seguente modo: “maggiore è la pressione del gruppo sociale sull’individuo, minore sarà la resistenza di quest’ultimo a resistere alle dinamiche di gruppo”. Ne consegue che nel gruppo vi sono due tipi di soggetti, quelli vincolati alla volontà e alle decisioni del gruppo, e quei soggetti che mantengono la capacità critica e una volontà propria. Nel secondo caso parleremo di soggetto individuale, che pensa e si comporta in maniera distinta rispetto al gruppo sociale di appartenenza, mentre nel primo caso parleremo di soggetto di massa, in cui il concetto di normopatia è calzante e viene elevato a stato di coscienza funzionale al gruppo.
Nel caso della società di massa, queste finalità sono quelle di: rispettare l’equilibrio sociale stabilito; mantenere l’equilibrio economico; consumare le risorse prodotte in funzione dei ritmi economici dell’industria.
“Stampa, telegrafo, radio, telefono, televisione, reti informatico-telematiche, Internet, tracciano le nuove vie invisibili del riconoscimento che tendono a far sparire la differenza tra sé stesse e il luogo del riconoscimento, a cui conducono. Ormai la rete telematico-informatica non è più soltanto una via (o un incrocio di vie), ma è il luogo dove avviene il pubblico riconoscimento delle forme di potenza dei centri che emettono i messaggi. L’individuo, che è spettatore dei messaggi, non è più il protagonista del riconoscimento, ma si limita sempre più a prender atto che il riconoscimento è avvenuto. Il riconoscimento primario della potenza non è più un atto di libertà, ma è esso stesso un atto, di potenza, che per l’ennesima volta viene imposto all’individuo”[11].
Non sarebbe possibile la costruzione di un nucleo psicologico simile senza l’utilizzo dei moderni canali di informazione e di comunicazione, in cui da quasi trent’anni il consumatore è immerso. Con la nascita del Quarto potere (l’influenza della politica sulla comunicazione, per mezzo di gruppi di pressione economica) e del Quinto potere (le tecnologie di informazione di massa) che per Edward S. Herman e Noam Chomsky sono le “fabbriche di consenso”; mentre per Manuel Castells, invece, i media non sono un potere aggiunto, bensì il terreno della lotta per il potere[12]. La personalità che si viene a costruire, attraverso la nostra attenzione educata dai suggerimenti dell’algoritmo telematico che scorre davanti ai nostri occhi, dagli smartphone/computer al nostro cervello, viene disabituata all’attenzione, stimolata soltanto da brevi slogan e immagini, a non partecipare ma solo a prendere atto[13], in modo tale che sia l’ignorante che il sapiente divengono allo stesso modo incapaci di discernimento[14] e la cui psiche impoverita, anzi, anestetizzata da senso critico, resa strumentale alle esigenze del sistema di una società politica che sono oggi le stesse esigenze del mercato globale per mezzo della televisione prima e di Internet oggi, “[…] non è soltanto strumento di comunicazione; è anche, al tempo stesso, paideia, uno strumento antropogenico, un medium che genera un nuovo ànthropos, un nuovo tipo di essere umano”[15].
Un individuo così intrattenuto, formato, informato, dalla più tenera età, è esso stesso, in stricto sensu, un prodotto di mercato: la personalità come un prodotto dell’ingegneria sociale.
Conclusioni
Avendo illustrato il secolare dibattito, a partire da Le Bon (ma anche da Canetti[16]) sul cittadino sempre meno autonomo con una sua progressiva riduzione del proprio senso critico quando diventa parte integrante di una massa dai ragionamenti condizionati e condizionanti, si può ben intuire, dai confronti con la letteratura scientifica riportati, quanto i mezzi siano determinanti. I mezzi sono, tuttavia, solo amplificatori, come si sta sperimentando nella nostra epoca con l’utilizzo massivo dei social. I mezzi, pertanto, non sono il problema o le soluzioni, sono solo casse di risonanza più o meno amplificate.
La delega dello Stato ai mass media di cui si è argomentato nell’articolo è, appunto, solamente una delega di un processo che è in corso da secoli e di cui si discute da altrettanto tempo.
Dai confronti riportati si può trarre la conclusione che questa tendenza può invertirsi non uscendo dal contesto che l’ha creata ma, paradossalmente, proprio restando dentro quel dato contesto e cercando di padroneggiare il più possibile quei mezzi che interferiscono con la nostra memoria storica, tramite il concedersi il tempo per spazi autonomi di pensiero e di consapevolezza.
[1]Popper, Karl R. The Open Society And Its Enemies, 177. [Complete: Volumes I and II, 1962. Fifth edition (revised) 1966]. Princeton: Princeton University Press, 1971.
[2]Stein, Edith, e Angela Ales Bello, cur. Vado per il Mio Popolo, 41-44. Roma: Castelvecchi, 2020.
[3]Fontana, Sandro. “Aldo Moro”. In Scaramozzino, Pasquale, cur. Cultura e Politica nell’Esperienza di Aldo Moro. Milano: A. Giuffrè, 1982.
[4]Le Bon, Gustave. Psicologia delle folle. Milano: Edizioni TEA, 2004.
[5]Mussolini, Benito. Spirito della rivoluzione fascista, 99. Milano: Ulrico Hoepli Editore, 1940.
[6]Mussolini, 401.
[7]Hitler, Adolf, e Giorgio Galli, cur. Il Mein Kampf di Adolf Hitler: Le radici della Barbarie Nazista, 464. Milano: Kaos, 2002.
[8]Hitler, 467.
[9]Milgram, Stanley, e Adriano Zamperini, cur. Obbedienza all’autorità: Uno sguardo sperimentale. Torino: Einaudi, 2003 (testo pubblicato per la prima volta nel 1974).
[10]Campanella, Danilo. La fine del nostro tempo, 84-85. Bussano, Lucca: Dissensi, 2016.
[11]Severino, Emanuele. Il destino della tecnica, 25. Milano: Bur, 2009.
[12]Chomsky, Noam, Edward S. Herman, Stefano Rini, cur., Alberto Leiss, cur., e Letizia Paolozzi, cur. La fabbrica del consenso: La politica e i mass media. Milano: Il Saggiatore, 2008.; Castells, Manuel. Comunicazione e Potere. Milano: UBE Paperback, 2014.
[13]Severino, 25.
[14]Le Bon, 65-66.
[15]Sartori, Giovanni. Homo videns, 14. Roma-Bari: Laterza, 2009.
[16]Riguardo Canetti, si può approfondire, in questa rivista, con il quinto invited paper: Ubaldo, Fadini. «Ricordo e resistenza. A partire da Elias Canetti». Oltre, ovviamente, alla celebre opera del 1960 con prima traduzione italiana del 1972 e costata all’autore una meditazione lunga quasi quarant’anni per portarla a compimento: Canetti, Elias. Massa e potere. Milano: Adelphi, 2009.
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