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Recensione di Domenico Bilotti, Università Magna Graecia – Catanzaro.
E-mail: domenico_bilotti@yahoo.it
doi: 10.14672/VDS20242RE2
(https://doi.org/10.14672/VDS20242RE2)
Titolo: Cronaca, critica e satira: istruzione per l’uso. Linee guida per giornalisti, creator digitali e utenti della rete
Autori: Fabrizio Criscuolo, Vincenzo Cardone e Francesco Verri
Formato: 24 x 17 x 1.5 cm, p. 218
Editore: La Tribuna, Piacenza 2023
Il più interessante risultato ermeneutico di questo volume di Criscuolo, Cardone e Verri è quello di potersi a tutti gli effetti classificare come uno zibaldone delle possibili intersezioni tra la libertà di manifestazione del pensiero e i nuovi ritrovati tecnico-digitali. Se Walter Benjamin già nel 1936 aveva capito che una delle realizzazioni espressive tipiche dell’umano intelletto (l’opera d’arte) sarebbe stata completamente ridisegnata dall’avanzamento massificato della produzione, in “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, al giurista e all’operatore digitale dei giorni nostri serve incrociare le opportunità ricchissime della divulgazione col kit delle libertà fondamentali che il costituzionalismo ha messo sotto la sua ala di protezione. Uno scudo, per vero, che se già difettoso di fabbrica oggi svela rughe e ruggini, ma che necessita di quel savio lavoro di manutenzione e potenziamento che solo una nuova fucina di Efeso può portare alla luce.
La pubblicazione ha poi il merito di assecondare un tipo di trattazione nella quale certo lo specialista rinviene la giurisprudenza rilevante in modo dovizioso, ma in cui il non addetto ai lavori non si trova mai spiazzato, semmai potendo percorrere il testo alla ricerca delle suggestioni che più gli sembrino pertinenti. Soprattutto nelle titolazioni, il saggio combo autoriale ha preferito che i precedenti più significativi della stretta attualità (trasmissioni televisive o campagne pubblicitarie o network della rete) fossero ricordati sulla base del nome proprio del contendere (marchio, persona, sito), e non con l’indicazione numerica della singola pronuncia. È un’accortezza pregiata: si comprende subito di cosa si stia parlando.
La struttura redazionale del volume rende ulteriormente più semplice questo processo, perché nella prima sezione domina una larghissima panoramica di sistema sulla libertà di stampa – alle radici del sistema informale di pesi e contrappesi nella realtà sociale angloamericana. Nei due capitoli conclusivi, invece, gli aspetti tecnico-procedurali, che invero sembra dovrebbero sempre comunicare con la critica della politica legislativa, ma che è comprensibile interessino più alla categoria forense che se ne occupa e meno al lettore in cerca di approfondimenti circostanziati sulle tematiche sostanziali. Nel mezzo c’è la “carne” del libro: la ragione specifica della sua strettissima attualità. Il senso di una continuità logica, viepiù, che manca spesso alle pubblicazioni collettanee.
Non v’è dubbio che la libertà d’opinione, pur così rilevante nel prisma del socialismo liberale e del costituzionalismo liberaldemocratico, non possa pensarsi del tutto sciolta da vincoli, che sono qualitativamente diversi in ogni caso dal limite della censura nello Stato totalitario e in quello paternalista. Lì, nella prima ipotesi, controllo preventivo di conformità alle strutture obbliganti e obbligate della circolazione delle idee, e, nella seconda, scelta condizionante di contenuti che orientino pedagogicamente l’obbedienza. Qui, invece, massimizzazione del diritto di libertà nella sola guaina contenitiva della dignità umana e della reputazione personale: non il piccato amor proprio dell’offensività, chiosano opportunamente gli Autori, ma il senso proprio di non aggredibilità della sfera intima della persona. L’unica eccezione da norma residuale diviene perciò non paradossalmente ulteriore conferma della scelta sistematica tipica di ogni legislatio libertatis: la non punibilità della diffamazione commessa in stato d’ira dopo aver subito un torto – ontologicamente, c’è una certa somiglianza di famiglia, direbbe Wittgenstein, col senso dell’attenuante dell’aver agito per suggestione di folla in tumulto. Individuo e comunità … comunicano.
Questo delicato bilanciamento ha proiezioni anche nella parte dedicata al diritto di cronaca, dove ci sembra siano due le ipotesi rappresentative dei poli opposti del discorso: da un lato, la crescente valorizzazione semantica del contesto espressivo (sommatoria di immagini, articoli, canali di diffusione e platea potenziale di destinatari) rispetto alla nudità semiologica della semplice interpretazione letterale; dall’altro, la recente scoperta di un “diritto all’oblio”, come situazione soggettiva nella quale si chiede la rimozione gnoseologica del fatto sconveniente a detrimento della persona.
Con efficace sintesi, il terzo capitolo appare l’architrave del volume, essendo tutto incentrato sui rapporti tra il diritto di critica e la satira. Proprio trattando di questo argomento, ovviamente, si nota la persistente attualità di risalenti filoni individuati dalla critica del diritto di matrice giusprivatistica e dalla teoria politica di orientamento progressivo. Sicché, se si volesse brutalmente sintetizzare, a essere esclusa da ogni forma di tutela sarebbe la tendenziosità insultante, mentre sempre destinataria di una cintura di protezione legale dovrebbe essere la buona fede (del lettore, del destinatario della comunicazione, del professionista che la esercita). Senonché queste ovvie coordinate assiologiche di fondo risentono sempre di più dello stress test non tanto dei nuovi mezzi di comunicazione, ma delle nuove forme di diffusione che in essi sono state plasmate. Facendosi sapidamente apprezzare anche dal lettore occasionale, allora, l’analisi tratta della revenge song di Shakira contro il compagno fedifrago – che implicitamente contiene il deprezzamento dell’amante complice. È cosa strutturalmente diversa dal dissing della cultura rap, nella quale attraverso strofe in rima i vocalist si fronteggiano intorno alla rispettiva coerenza, ché quello, al limite, può richiamare – dovessimo cercargli un padre “nobile” – le satire latine o certe sciarade al vetriolo nella tradizione della composizione sirventese.
D’altra parte, cresce il rilievo dei siti che offrono recensioni agli utenti e il controllo reputazionale dell’avviamento nella gastronomia ne esce spesso sfalsato, ingenerando dinamiche in cui l’influencer può essere variamente accattivato da benefit e situazioni di sgradevole bersagliamento prive di riscontro qualitativo avvengono con pari frequenza. Bella la chiusura sulla satira televisiva. Ci si concederà che ci siamo abituati a un tempo esageratamente pruriginoso, nel quale la tentazione preventiva è quella di sterilizzare il perimetro fendente di ogni dissacrazione contropotere. Quella sterilizzazione è, vieppiù, ben altro che neutralistica, dal momento che o informa una pericolosa tentazione totalmente antipolitica (tutti uguali, prevalga il più violento!) o un conformismo melassa nella quale l’unica stella polare non è più genuinità e libertà d’informazione ma non suscettibilità del potere politico o del gruppo sociale.
Avendone i tre Autori la statura, piacerebbe che un secondo tempo di questa preziosa ricerca potesse diventare uno sguardo panoramico e comparatistico a ciò che succede negli altri sistemi. L’Italia ha il triste primato, censito da associazioni internazionali e largamente sperimentato da tutti nella quotidianità, della maggior circolazione di notizie false e tendenziose, che non hanno nulla di satirico o antifrastico, ma che sono consapevolmente portate avanti da una mole eterodiretta di condivisioni e ri-condivisioni. Affacciarsi sul trattamento giuridico delle fake news in ordinamenti altri (dove il dissenso è costretto a inerpicarsi sul web o dove la barra della coscienza collettiva riesce a trovare più alti spalti di resistenza che da noi) avrebbe l’indiscutibile valenza di condurre il tema della libertà di manifestazione del pensiero a quel livello di interpretazione interculturale necessitato dai nostri tempi di periferie globali.